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Before It Had a Name

Regia di Giada Colagrande vedi scheda film

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La recensione su Before It Had a Name

di OGM
4 stelle

Inspiegabile. Questa è la prima impressione. Viene spontaneo pensare che solo un intento velleitario e narcisistico possa giustificare un’operazione cinematografica di questo genere. Giada Colagrande e Willem Dafoe sono Eleonora e Leslie. Sono una vedova italiana sui trent’anni, moglie di un famoso matematico americano precocemente scomparso, e il solitario guardiano della casa di gomma, una villetta postmoderna situata al margine di una foresta, appartenente al defunto marito di lei. Quando la donna si reca sul posto per mettere ordine  e recuperare alcuni effetti personali, tra i due inizia una torbida relazione. Ma, con tutta probabilità,  personaggi ed interpreti sono una cosa sola. Il noto attore hollywoodiano e la sua giovane consorte abruzzese realizzano questa pellicola per raccontarci la loro intimità. Non può esserci altro scopo che questo, dietro un film che manca di qualunque ispirazione, e che sembra convinto di bastare a se stesso.  Lo si intuisce dal modo, non si sa se più spregiudicato o più superficiale, in cui si infischia della qualità artistica, dell’originalità, della capacità di parlare a tutti, insomma della totalità di quei criteri – ivi compreso il buon gusto – che rendono un’opera fruibile, emozionante, significativa. Qui è solo l’autoreferenzialità a riempire lo schermo, con una  grezza spavalderia espressiva che sottrae, al capriccio esibizionistico, anche la consueta, nobile patina di raffinata ermeticità.  Sceneggiatura e regia sono prive di idee, né pretendono di averne, e lasciano che il racconto vada avanti da solo, appoggiandolo a sprazzi di vita vera in cui una languida ingenuità da melodramma – nella quale la protagonista dà il meglio di sé – si alterna ad acuti pseudofilosofici lievemente supponenti: tentativi di ricercatezza  che si direbbero buttati lì dagli autori come prove della loro intelligente intesa.  Il vizio più fastidioso di questo film è la costante volontà di mettersi in mostra, da parte di una coppia famosa che si compiace  di aprirci le porte delle segrete stanze coniugali per rivelarci la sua (stra)ordinaria normalità, benignamente cosparsa di autoironia. Lei non si cura di apparire come una pessima attrice. Lui, che pure è bravissimo, non si vergogna di stare al gioco. Sarà  forse questa la chiave del discorso: la cifra di un amore bizzarramente asimmetrico che si vuole manifestare al mondo come una curiosità. Un fatto molto particolare che, però, alla fine dei conti, deve risultare perfettamente in linea con la natura delle cose.  Possiamo magari rifugiarci in questo tenero e simpatico pensiero, chiudendo un occhio sulle  rumoreggianti carabattole che gli fanno da contorno. Solo così riusciremo a dare un senso a novanta, interminabili minuti trascorsi da voyeur davanti ad un reality  un po’ scadente che, a  tratti, odora persino di telenovela

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