Regia di Guy Maddin vedi scheda film
Un soggetto originale di Kazuo Ishiguro (lo scrittore di Quel che resta del giorno), la produzione di Atom Egoyan, la firma di Guy Maddin, autore canadese fuori schema (cui il BFI ha di recente dedicato una retrospettiva a Londra): bastano per rendere La canzone più triste del mondo un prodotto non convenzionale in cui curiosare a fine stagione. Prendete il bianco e nero in video degli sceneggiati di Anton Giulio Majano, l’ironia anni 70 di Mel Brooks e una spruzzata del cinismo assassino di La versione di Barney e forse capirete in che modo, la storia del concorso internazionale per stabilire attraverso un torneo a eliminatoria diretta (tipo: Messico contro Serbia) qual è il gruppo nazionale in grado di produrre la musica più triste del pianeta, proprio durante la Depressione (!), a Winnipeg (sito natio del regista), possa diventare un film. Il montaggio precipitoso e plastico da cinema impressionista e muto (tipo L’Herbier), una Rossellini senza gambe che avrebbe potuto abitare in un film di Tod Browning e l’aria ininterrotta da Sanremo/Helzapoppin’ dell’intera operazione, collaborano attivamente a fare del film una bizzarria acre e inventiva, sostenuta da uno stile senza incertezze e da uno humour anarchico nutrito da ninfomani, impresari privi di scrupoli e violinisti nevrotici.
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