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13 Tzameti

Regia di Géla Babluani vedi scheda film

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La recensione su 13 Tzameti

di Peppe Comune
8 stelle

Sébastien (George Babluani) è un giovane operaio che sta facendo dei lavori in una villa. Qui viene accidentalmente in possesso di una lettera indirizzata al proprietario della villa che intanto è morto di overdose. Sembra contenere una sorta di mappa che conduce a facili guadagni quella lettera e Sébastien ne è attratto al punto di sostituirsi al suo legittimo proprietario. Non immagina che quello strano viaggio che ha intrapreso lo condurrà a un gioco molto più grande di lui.

 

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13 Tzameti - Scena

 

Immerso in un bianco e nero raggelante,"13 Tzameti" segna il sorpendente esordio alla regia del franco-georgiano Gèla Babluani. É un viaggio nell'imperscrutabilità dei percorsi esistenziali, quando il caso si intreccia con la volontà umana indirizzandone gli esiti. Dapprima assume le fattezze di una possibile via di fuga che per lo squattrinato Sébastien ha il sapore dolce di un pacco sorpresa tutto da svelare. Quando si avvede di trovarsi in un perfido ingranaggio che puzza di sangue putrefatto è il caso a menare le danze e a decidere della sorte di tutti i partecipanti al gioco. Ancora il caso impedisce a Sébastien di prendere il treno che doveva prendere. Il riferimento con "Il cacciatore" è pressochè inevitabile ma ad accomunarli c'è solo un gioco di morte tanto macabro quanto gratuito. Se nel capolavoro di Cimino quel gioco era un aspetto di un orrore più generale rappresentato dalla guerra in Vietnam, qui assume la portata simbolica del degrado morale a cui è giunto l'uomo. In quella macelleria di carne umana, gli uni accettono di fare da cavie umane perchè votati all'autodistruzione, gli altri perchè ricchi  annoiati che cercono l'ebrezza di spettacoli estremi. In quei luoghi asettici, dove sembra poter essere in ogni dimensione spazio temporale, va in scena l'universale avidità per il denaro, il volgare baratto di vite umane con un numero su cui scommettere. Babluani porta al limite questo gioco al massacro, con una messinscena scarna, arida di sensazioni, che non concede nulla all'immedesimazione simpatetica con chicchessia. Arriva al punto in cui la vita di un uomo è decisa dall'imponderabile e vale giusto il tempo di una giocata andata male. Arriva al punto di non ritorno per chi vi arriva e induce a una riflessione su dove ci sta conducento questa bella modernità.

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