Regia di Christophe Gans vedi scheda film
Troppo da una parte, troppo poco dall'altra.
Mi dicono che Silent Hill sia ricavato da uno o più videogiochi. Benissimo: poiché non li conosco, farò finta di niente, lasciando a chi di dovere i necessari parallelismi.
Il film ha qualcosa di buono, potenzialmente molto buono, ma proprio per questo se ne percepisce immediatamente la non completezza. La vicenda si svolge sul canovaccio delle realtà parallele, o per meglio dire multidimensionali. Nulla di male, anzi, ma chi abbia visto Il sesto senso o ancora meglio The Others non può non notare che qui la cosa è resa in modo assai più sbrigativo, meccanico, una volta si diceva “telefonato”. In altri termini la pellicola manca di sottigliezza, fatto piuttosto grave se consideriamo invece le molte possibilità che l’ambiguità sul concetto di realtà può offrire (vedi i titoli sopra).
Da un lato il mondo di Silent Hill, nel quale vagano madre (Radha Mitchell) e figlia, appare sì sufficientemente nebbioso e sfumato, ma anziché giocarsela sull’ambiguità il regista sembra preferire scene progressivamente più grandguignolesche, fino a un pre-finale in stile grottesco-montyphytoniano. Sembra ed è un incubo, ma dentro vi succedono troppe cose, troppo in fretta e non c’è tempo di pensarci su, di assaporarle.
Dall’altro lato c’è un marito (Sean Bean) la cui vicenda non riesce mai a bilanciare l’attenzione dello spettatore rispetto a quanto accade nel frattempo nel villaggio dannato. Come nelle coppie (comiche o drammatiche) in cui uno dei due sia molto superiore all’altro, si ha l’impressione che l’insieme zoppichi, rendendo la personale ricerca dello spaesato coniuge tutto sommato superflua. Se cioè c’è stato il tentativo di evidenziare i due piani del racconto, esso risulta goffo e malriuscito.
Sean Bean risulta spaesato e inutile nella parte, tant’è che lo si poteva tranquillamente tagliare. Resta la Mitchell che si veste da Jolie Tomb Raider e prova a fare l’investigatrice dell’incubo, in un tentativo di riacchiappare la figlia dispersa che manca di convinzione e plausibilità (qualunque mamma che veda il film penserebbe che all’eroina, della figlia, non interessa granché).
Recensisco il film perché a mio avviso rappresenta un’occasione mancata, che probabilmente avrebbe richiesto una mano più ispirata e creativa. E la prova che di meglio si poteva senz’altro fare è nell’ultima scena, quella del ritorno a casa, quando finalmente senza morti infilzati, sirene dell’apocalisse e attese di nuovi giudizi universali il film riesce a rendere – per un attimo – un perfetto Senso di Distacco tra le realtà sovrapposte. Troppo poco, troppo tardi.
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