Regia di Christophe Gans vedi scheda film
La piccola Sharon ha dei gravi disturbi psichici, tanto che i medici consigliano addirittura l’internamento. La madre Rose non si rassegna, e contro il parere del marito parte con la figlia in cerca di una possibilità. Si ritrova così nella misteriosa cittadina di Silent Hill, già evocata da Sharon nei suoi sogni. Quando la bambina scompare, Rose si rende conto che l’atmosfera malsana che circonda quel posto è preludio di un orrore ben più grande. Il regista francese Christophe Gans e il collega Roger Avary (Killing Zoe, Le regole dell’attrazione) nel 2001 diventano corrispondenti e poi amici sulla scia di una passione comune, quella per il videogame Silent Hill. Da qui l’idea di trasformarlo in pellicola, il primo dirigendolo e il secondo scrivendone la sceneggiatura. Ispirato soprattutto al primo capitolo del VG, con la bimba che trasforma in realtà le sue ansie deformi ma anche i desideri, Silent Hill è film sontuoso, con una ricerca estetica affascinante e notevoli effetti speciali. Peccato che fallisca in uno degli obiettivi principali di Gans, quello di «immergerci nella paura». Ma davvero qualcuno può pensare che questa roba faccia paura? Concepito come una sorta di catalogo di grafica in movimento - lo ripetiamo: con aspetti coinvolgenti - Silent Hill rende del tutto superflua la presenza di Avary, nel senso che la sceneggiatura pare componente non pervenuta, o almeno non percepita. E Gans si abbandona alla sua ben nota magniloquenza. Mentre nei precedenti Crying Freeman e soprattutto Il patto dei lupi un genuino gusto dell’avventura regalava le emozioni necessarie, qui no. Un guscio vuoto. Con meravigliosi intarsi ma pur sempre un guscio.
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