Regia di Pen-ek Ratanaruang vedi scheda film
Nato a Osaka, in Giappone, e cresciuto a Macao, (oggi) in Cina, Kyoji sta per cambiare di nuovo aria. Ma il suo non è un viaggio di piacere. Cuoco di professione, tranquillo per indole, Kyoji ha commesso l'errore di farsela per mesi con la donna del capo, un gangster di Hong Kong il quale, una volta scoperto il tradimento, l'ha convinto ad avvelenarla e poi dileguarsi, imbarcandolo per Phuket, in Thailandia. In nave è relegato in una stiva ben poco confortevole: i rubinetti del bagno hanno i collegamenti sballati e la cuccetta ribaltabile non vuol saperne di star giù, mentre dall'areatore passa col fumo anche il baccano del motore, costringendolo ad infilare i tappi per le orecchie gentilmente offerti dalla ditta. Solo e disorientato, accompagnato dalla propria inscalfibile infelicità e dai segnali grotteschi di un ambiente che gli si presenta misteriosamente ostile, vaga per i corridoi ed il ponte deserti facendo pochi incontri con gente strampalata. Giunto a destinazione e sistematosi in una camera d'albergo, scopre ben presto di esser stato spedito lì con uno scopo ben preciso: esser fatto fuori lontano da occhi indiscreti.
Nel 2003 il regista Pen-ek Ratanaurang unì le proprie forze a quelle di Christopher Doyle (direttore della fotografia di fiducia del miglior Wong Kar-wai e di molto altro) ed Asano Tadanobu (attore in ascesa già sfruttato da Nagisa Oshima, Takeshi Kitano e Takashi Miike), oltre che a quelle del compositore Hualampong Riddim, realizzando il poetico art movie Last Life in the Universe; tre anni dopo, il connubio tra i quattro si rinnova per Invisible Waves, e ora come allora si pone al centro il pensiero della morte, ma elaborato - non senza affinità - in direzione opposta: al depresso cronico - assassino per caso - che lì falliva diversi suicidi per poi farsi distrarre alla vita dall'incrocio con un'altra solitudine, fa qui da contraltare un uomo altrettanto solitario travolto dagli eventi che, alle prese con gli effetti dei propri azzardi, cerca un'egoistica via di fuga ma intraprende imperturbabile un percorso interiore che non prevede redenzione e, pur non passando fattivamente attraverso il senso di colpa, non offre alternative razionali alla forma di espiazione più estrema.
Tale percorso consta di un flusso di coscienza lento e inesorabile che è di fatto l'oggetto principale del racconto, ed in quest'ottica vanno lette le scelte di linguaggio dei quattro artisti: Ratanaurang ricorre con incedere indolente ad inquadrature inusuali e giochi di prospettiva, a movimenti di macchina morbidi in piani sequenza brevi che sono piccole gemme di glaciale fulgore; Doyle attenua i contrasti cromatici, restituendo immagini autunnali e livide che sembrano provenire da un sogno spento e destinato all'oblio; Tadanobu conferisce un'aria stralunata e sorniona ad un uomo spaesato e confuso, ridotto dalla propria incapacità di comunicare a viversi come un inutile fantasma errante; Riddim, infine, stende sul tutto un tappeto sonoro lieve e spettrale, composto principalmente da note di tastiera soffuse ed ipnotiche.
Perfetta risultante dell'alchimia tra queste componenti, Invisible Waves è un noir duro e senza speranza seppur attraversato da sprazzi di humour grottesco, un film rarefatto nel quale la violenza resta fuori campo così come anche il coinvolgimento emotivo, e che con passo composto e freddo conduce nell'atmosfera sospesa e opaca del limbo quieto che accompagna l'inferno in terra dei rassegnati.
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