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Dahmer

Regia di David Jacobson vedi scheda film

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La recensione su Dahmer

di Stefano L
5 stelle

Risultati immagini per dahmer 2002 film

 

In “Dahmer” David Jacobson racconta le gesta di uno dei più famigerati e controversi criminali mai esistiti. Attraverso un mix di flashback e situazioni occasionali concernenti la vita quotidiana di questo efferato omicida assistiamo al percorso che ha portato Jeffrey Dahmer a diventare uno spietato mostro senza rimorso, dedito alla necrofilia e alla sodomia di giovanissimi ragazzi che agganciava ovunque per poi incoraggiarli a raggiungerlo nel suo appartamento, nel quale erano sottomessi a ogni tipo di feroce sopruso. Jacobson evita di ostentare apertamente i contenuti raccapriccianti delle uccisioni e le torture, inquadrando tutto fuori campo e concentrandosi sulla relazione del protagonista con le vittime e i familiari. Ed ecco quindi che assistiamo ad un uomo apparentemente tranquillo, operaio in una fabbrica di cioccolato, condurre un passatempo morboso in cui frequentando dei bar gay rimorchia e droga i poveri cristi che lo incontrano nei negozi e nei locali notturni; la “virilità” di Jeffrey viene fomentata dalla vista della crudeltà delle proprie azioni, potente fonte di erotismo che porta ad un climax orgasmico. L’incapacità di instaurare un rapporto romantico o platonico con i suoi simili lo indurrà a sfogare gli impulsi commettendo rituali bestiali. E nonostante Renner sia efficace nel ritrarre al meglio la freddezza e lo stato mentale perturbato di Dahmer, quello di cui si avverte la mancanza è la costruzione di un’identità psicologica che arrivi ad essere sufficientemente concreta da poter, non giustificare, ma almeno motivare in maniera persuasiva tali atrocità. Ad esempio, l’abbandono da parte dei genitori, il quale dovrebbe essere stato il fattore che avrebbe innescato la rabbia e il senso di rifiuto di Dahmer, qui è un elemento velocemente svigorito, stemperandosi in ellissi piuttosto ridondanti che mettono in evidenza il legame teso e scontroso col padre (Bruce Davison). Al contrario viene invece assegnato uno spazio sproporzionato ai frangenti, alla lunga tediosi, ove Dahmer seduce e inganna i partner. Il plot si snoda lentamente, negando però all’astante uno sviluppo realmente trascinante del soggetto, in grado cioè di concedere un brivido percepibile. Insomma, siamo distanti dalla scioccante intensità drammaturgica di “Henry, pioggia di sangue”. Tra le cose apprezzabili vanno segnalati le tinte acide, sulfuree della cosmesi e il monologo lancinante di Artel Great (“Rodney”), omosessuale di colore deriso dalla comunità. Le musiche sono invece un po’ anacronistiche per il periodo di fine anni ottanta. Nessun accenno al cannibalismo di Dahmer.

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