Regia di Lukas Moodysson vedi scheda film
Flusso di coscienza in voce off, sullo schermo immagini in bianco e nero: un corpulento omosessuale si aggira disperato per il suo appartamento, una ragazza orientale si sveste per fare il bagno, montagne di rifiuti e di oggetti di uso quotidiano in disordine.
Quinto lungometraggio per lo svedese Lukas Moodysson, fattosi notare con il crudo Fucking Amal (1998) e da quel momento incamminatosi in un percorso di cinema impegnato e via via sempre più involuto e sperimentale. Container è l'apice di questa fase, dopo del quale il regista tornerà a girare opere più 'tradizionali'. Bianco e nero, camera a mano, immagine sgranata digitale, qualche sequenza in soggettiva, nessuna connessione apparente fra il flusso di pensieri in voce off e ciò che compare sullo schermo; le parole sono in totale libertà, un grumo di ansie e fissazioni morbose della quotidianità contemporanea, pronunciate dall'attrice Jena Malone, che di quando in quando compare anche sullo schermo. Francamente parlando, un'idea carina per un cortometraggio: quasi ottanta minuti in questo modo, invece, diventano solamente una seccatura, una visione fastidiosa. Moodysson figura anche come autore della sceneggiatura; il "protagonista" (date le circostanze, le virgolette sono d'obbligo) è lo svedese Peter Lorentzon; il regista tornerà tre anni più tardi con il più compiuto Mammoth. 2/10.
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