Regia di Joseph Losey vedi scheda film
Anche se siamo distanti da quelli che considero capolavori di Joseph Losey, come “Il servo” (1963), “Mr. Klein” (1976) o lo sfavillante “Don Giovanni” (1979), l’indubbio talento del Maestro si esprime anche in questo suo penultimo e poco conosciuto film. Un film che poggia interamente sulle minute ma fortissime spalle di Isabelle Huppert nel ruolo di Frédérique, giovane allevatrice di trote, sposata con Galuchat, un ragazzo con evidenti tendenze omosessuali e indifferente al fatto che la moglie seduca quasi tutti gli uomini che le capitano a tiro, ma ai quali rifiuta sempre di concedersi. Un giorno, stanca della vita rurale e del vecchio e volgare padre, lascia tutto e parte alla volta di Parigi, dove incontra due uomini d’affari, Rambert e Saint-Genis. Quest’ultimo le propone di accompagnarlo in Giappone per un viaggio di lavoro. Frédérique accetta, ma alcuni giornni dopo rientra in Francia, essendo venuta a conoscenza di un tentativo di suicidio da parte del marito, soccorso e ospitato da Rambert e dalla moglie Lou. Rambert tenta invano di sedurre Frédérique e, successivamente, scopre di essere stato rovinato a causa di losche manovre da parte di Saint-Genis. In un accesso di follia, uccide la moglie Lou. Frédérique torna allora in Giappone, dove avvia insieme al marito un’impresa di allevamento di trote.
La trama del film, come si vede, è piuttosto complessa e direi zoppicante nella parte finale. Tutto ruota intorno alla figura di Frédérique, donna sensuale quanto sfuggente, scivolosa come una trota appena pescata, cui si riferisce simbolicamente il titolo. Per gli uomini che cadono sotto il suo fascino è un bel problema: una preda facile da catturare ma pressoché impossibile da trattenere. Inutile dire che nell’incarnare un simile personaggio, Isabelle Huppert si trova a sua volta come un pesce nell’acqua. Al suo fianco due grandi attori come Jean-Pierre Cassel e persino l’immensa Jeanne Moreau appaiono come pianeti che orbitano intorno ad un sole e gli altri personaggi addirittura come piccoli satelliti. Eppure non si può dire che Jospeh Losey sfrutti al meglio le capacità della sua protagonista. Una volta inquadratone il difficile e ostico carattere, si lascia andare ad alcune scene ripetitive sul modo in cui ogni maschio si lascia menare per il naso, tralasciando ogni ulteriore approfondimento psicologico. La parte migliore della pellicola è costituita a parer mio dalla trasferta in Giappone. L’idea di proiettare in un ambiente lussuoso e lontanissimo una giovane donna, che fino a pochi giorni prima non conosceva altro che il suo paese natale e la piscicoltura, suscita una comprensibile curiosità nello spettatore, tanto più che il suo compagno di viaggio, impegnato i molteplici riunioni e appuntamenti di lavoro, si limita a fornirle tutto il denaro di cui può aver bisogno per poi abbandonarla al suo destino in una Tokyo ipermoderna, dove la gente parla solo giapponese e tutt’al più inglese. Proprio in questo frangente emerge tutta la forza di carattere e direi persino la raffinata intelligenza di Frédérique. Inizialmente frastornata, si riprende in breve tempo, riesce a comunicare empaticamente con le persone che incontra, riprendendo ad applicare l’unica arte in cui eccelle, la seduzione senza concedere nulla in cambio, la capacità di stabilire con gli uomini rapporti umani di un certo spessore senza passare per la casella sesso. Mi viene da dire che per rendere in maniera convincente questa dinamica un’attrice come Isabelle Huppert non ha neppure bisogno di recitare.
Brevissima quanto gustosa apparizione di Ruggero Raimondi nei panni di un cantante lirico che, nel corso di un’affollata cena, evoca la sua interpretazione del Don Giovanni di Mozart. Probabilmente un omaggio del regista a colui che fu il suo protagonista nel succitato capolavoro di tre anni prima.
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