Regia di François Ozon vedi scheda film
Romain, giovane fotografo d’alta moda, scopre di avere un cancro devastante, che non gli lascia scampo. Pochi mesi di vita se rifiuta le cure, cosa che lui decide di fare nonostante la nonna Jeanne Moreau lo inviti a tentare il tutto per tutto. Pianta il fidanzato e conosce una donna, Valeria Bruni Tedeschi, che gli chiede di dargli un figlio, dato che il marito è sterile. Cruda parabola calante di una vita quella che mette in scena François Ozon, regista discontinuo che però ha il dono di non lasciare indifferenti. Non tutto funziona in Il tempo che resta, e ci pare una forzatura studiata a tavolino l’incursione del personaggio femminile, quasi a risolvere con un coup de theâtre il legittimo bisogno di paternità dell’amante omosessuale. Nella prima parte tuttavia si vola alto e il merito, va detto, è soprattutto degli attori. Bravissimo Melvil Poupaud, che sembra refrattario al ruolo troppo simbolico, tipo Cristo del Mantegna, che forse vorrebbe cucirgli addosso Ozon, e ci mette del suo nell’affrontare la morte con malsano nervosismo. La sequenza più bella è quella del confronto col padre, uno straordinario Daniel Duval.
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