Regia di Milos Forman vedi scheda film
Torna il musical degli hippie, a 25 anni dalla versione cinematografica (più altri dieci e passa da quella teatrale). Se il musical di Rado, Ragni e MacDermott aveva colto un fenomeno al volo, e quasi precorso i tempi (era stato scritto addirittura nel ’67), Milos Forman aveva diretto il film nel 1979, quando ormai era accaduto di tutto. Il Vietnam era finito, il ballo sulle tombe al ritmo di Let the Sunshine In si colorava di tragica consapevolezza, mostrandosi ancora più chiaramente per quello che già era un vitale e disperato spiritual. A vederla oggi, la storia ha un andamento classico, con il giovane (Savage) arrivato a New York dall’Oklahoma che viene educato alla vita da hippie sballati, e con il ribelle incosciente che alla fine si sacrifica (involontariamente, ma non importa) per il giovane americano ingenuo. Quello di Forman era già allora un film in costume, che riportava coraggiosamente in vita un clima ormai defunto mentre intorno si consumava il crepuscolo di Jimmy Carter e Hollywood aveva rinnegato tempi morti, paranoie e fughe per rientrare nei ranghi dorati con Guerre stellari, La febbre del sabato sera, Kramer contro Kramer. Certo, guarda agli hippie con uno sguardo in fondo freddo e lontano, per cultura ed età, e forse oggi ci appaiono paradossalmente più “sessantottini” i protagonisti di Asso di picche o Gli amori di una bionda. Non ha il tocco camp e visionario richiesto dal musical, impagina senza passione (basti vedere la scena del matrimonio sognato in chiesa), mentre le raffinate, energiche coreografie di Twyla Tharp e i costumi rendono ancora più astratto e “saggistico” un film fatto col senno di poi. Ma non si resiste alla potenza di quei numeri musicali, Aquarius, Hair o I Got Life, e quel finale di folle riunite dopo il “giardino di pietra” era, nonostante tutto, un richiamo sincero e controcorrente.
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