Regia di György Pálfi vedi scheda film
Hukkle (Singhiozzo) è il primo lungometraggio dell'ungherese Gyorgy Palfi: un film di finzione travestito quasi da documentario, tanto la mdp fotografa con nitidezza, precisione, attenzione al dettaglio e alla materia (umana, animale, vegetale, minerale). Predominano i primi e primissimi piani dei volti e degli animali, fino a inquadrarne dettagli, sezioni di superficie che invadono lo schermo fino a diventare "astratti" (la lana ovina, i testicoli ovoidali del maiale), salvo poi ritornare all'impressione "logica" e concreta.
Palfi vuole entrare e farci entrare dentro la fenomenologia materiale, atmosferica e "spirituale" di un villaggio della sua terra: filo conduttore misterioso è il singhiozzo di un docile e spensierato vecchietto dal volto rugoso come la terra, seduto su una panchina di legno al margine di una strada del paese. Dall'inizio alla fine il singhiozzo (forse un tic) scandisce le sezioni del film in cui vediamo le cicliche e perpetue attività sociali: il cucinare, il mangiare, il governare gli animali, la monta dei maiali, una festa di matrimonio con i suoi canti e balli, ecc. Parallelamente, mentre trascorre il tempo del film e della vita, qualcosa al limite del percettibile accade, ma non si svela mai totalmente, nemmeno alla fine, e si lascia solo intuire: strane morti si succedono, un poliziotto indaga, forse scopre il/la colpevole, ma il dubbio rimane. Quel che conta è la sensazione suscitata dalle immagini e dai suoni che percepiamo, strettamente connessi tra loro in un vero e proprio contrappunto ritmico: i dialoghi infatti non esistono, sono solo accennati e indistinti o inudibili; i rumori invece sono nitidi e ben scanditi, aderenti a ciò che li produce e a volte anche ironicamente accostati per formare una trama musicale concreta (perfino con lo stesso singhizzo del vecchio). Un elemento questo che non poteva non farmi ricordare un parallelo affascinante (che sia voluto o meno), ossia uno dei caratteri fondamentali della poetica musicale di un musicista geniale, connazionale del regista: Bela Bartok. In molte sue composizioni rumore e suono strumentale sono la stessa cosa, sia a livello di pura vibrazione sonora che a livello formale, con le evocazioni paniche dell'essenza naturale. Il film allora, più che compiere il senso narrativo delle situazioni, aumenta il mistero della vita stessa, che accade semplicemente ma è anche manipolabile (ancor più misteriosamente) dalla creatività umana. 8
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