Regia di Lone Scherfig vedi scheda film
Mors tua, vita mea: morale semplicissima - ed altrettanto sconfortante - per questo che è il secondo lungometraggio firmato dalla brava Scherfig. Abbandonati i criteri minimalisti del dogma ('95) adottati nel precedente Italiano per principianti, l'autrice danese realizza questa volta un film più 'tradizionale' nell'impostazione tecnica e si affida ad una sceneggiatura scritta a quattro mani insieme ad Anders Thomas Jensen. Si tratta di una storia di autentico cannibalismo sotterraneo fra fratelli, superficialmente mascherato dalla più classica patina di buoni rapporti; eppure il depresso Wilbur, la cui esistenza (anche per colpa di traumi infantili relativi ai genitori, entrambi scomparsi da tempo) non ha più valore per lui stesso, riesce a rinunciare al chiodo fisso del suicidio ed a crearsi un mondo, un'identità, una famiglia solamente 'predando' materialmente quelli del fratello Harbour. Non è però una parabola intrisa di facile cinismo, anzi i protagonisti sono personaggi quasi sempre solidali fra loro, umani, talvolta perfino ingenui (l'infermiera innamorata di Wilbur) ed il finale è pur sempre l'inizio di una (specie di) storia d'amore. Dal soccombere di un individuo, l'emergere di un suo simile: in fondo ciò che questo film dice è pienamente condivisibile, sebbene i metodi utilizzati dal protagonista per (soprav)vivere non siano apprezzabili alla stessa maniera; ma a pensarci bene la crudeltà umana sorpassa quotidianamente quella di Wilbur, e di gran lunga. Brava - la migliore in un cast decisamente valido - Shirley Henderson, sommessa, misurata, perfetta così. 6,5/10.
Harbour e Wilbur sono due fratelli sulla quarantina che lavorano in una libreria, nel cui retro vivono. Wilbur, depresso cronico, tenta di tanto in tanto il suicidio; Harbour se ne prende cura e quando sposa Alice, una cliente, la ragazza va a vivere con loro e si affeziona a Wilbur. Presto però la situazione si complica: Harbour si scopre gravemente malato...
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