Regia di Jean-Pierre Mocky vedi scheda film
Con Agent Trouble ci troviamo in quel piccolo cinema francese da piccole grandi pretese, un genere quasi sotto-polar che ha esempi “illustri” in quell’oggettino apprezzabile de L’agression di Gérard Pirès o in qualche primo film meno impegnato di Chabrol. Le poche pretese si possono enumerare facilmente: a prevalere è il registro narrativo, e soprattutto un tono serio ma leggero e disimpegnato; il protagonista maschile o femminile deve possibilmente destare simpatia, per poter creare un contatto empatico maggiore con lo spettatore; le storie hanno un colpo di scena finale, di fronte al quale ci si ritrova impreparati quanto i protagonisti. Il tono ilare e giocoso di Agent Trouble si tiene avvinghiato agli stilemi di questo piccolo sottogenere, il thriller francese anni ’70 e ’80, praticamente, portatore di un sano intrattenimento e, probabilmente, di qualche reliquia di culto oggi.
L’ambientazione è innevata. Non è la neve rigida e inesorabile di certi noir atipici precedenti o successivi (La Sirène du Mississippi col suo finale, per dirne uno), ma è abbastanza spessa da coprire con vari strati segreti e misteri inconfessabili. La protagonista è una Catherine Deneuve capellona e meno “prosperosa” del solito, sempre abbastanza bella e brava da tenere desta l’attenzione (qui per di più è nella parte di una “zietta”, quindi deve dare anche giustamente l’idea di non avere l’età di un decennio prima). Tra gli altri si distingue anche un Pierre Arditi sornione e una Kristin Scott Thomas giovine e abbastanza “scollata” come forse mai è stata o sarà. L’andamento generale è spassionato, poco viscerale e molto concreto, immediato, senza pretese. Come le altre pellicole del genere, in cui è la storia davvero quella che conta fra tutte le cose, tutto quanto il complesso puzza di pretesto. Pretesto per tirare avanti la “storia”, per arricchirla di particolari. Gli stessi personaggi non hanno una loro autonomia, ed esistono solo in funzione della storia (poco fascino, fra tutti, il personaggio stesso della zietta; forse più interessante il cattivo di Richard Bohringer, con la moglie zoppa, ma anche quello ha un carisma che si taglia a fette con l’accetta). Così di fascino cinematografico rimane molto poco, e la regia si accomoda anonima in carrellate professionali e primi piani di ordinaria amministrazione, senza guizzi, sprazzi o singulti. Tutto esteticamente molto piatto, scorrevole ma fine a se stesso, un po’ come la storia che si sforza di rendersi il più interessante possibile. Il tono scanzonato è conferito da un accompagnamento musicale che lascia pochi dubbi alle emozioni da provare di fronte alla pellicola: essenzialmente, divertimento, generato da un ritmo abbastanza veloce, che non produce noia ma un po’ di torpore. Inutile pensare che dietro alla storia voglia esserci una qualche forma di seria e politica indignazione, ché tutto viene gestito in maniera molto sobria e disinvolta. Tra morti violente senza una goccia di sangue e un mistero lentamente da risolvere (e che si risolve troppo di botto con un flashback rivelatore che fa il suo dovere esplicativo senza altro interesse di tipo anche emozionale), Agent Trouble è un film che inizia e finisce, passa via come l’acqua sui fiumi o i treni sulle rotaie, e se rimane qualcosa è un qualche pezzetto di carta molto piccolo e consumato, lanciato da un finestrino.
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