Regia di Álex de la Iglesia vedi scheda film
Álex de la Iglesia (classe 1965) ha fatto dell’eccesso la sua cifra stilistica più riconoscibile. Per quanto molto criticato per questa sua voglia di essere provocatorio ad ogni costo (spesso anche paradossale), che piaccia o no, è comunque uno dei nomi di punta della cinematografia spagnola (è’ addirittura considerato un regista di culto da parte di molti suoi colleghi fra i quali spicca il nome di Guillermo del Toro).
Autore di un cinema discutibilissimo (spesso anche irritante) non è dunque l'ultimo arrivato e una buona parte del suo cinema (come è giusto che sia) è stata distribuita anche qui in Italia (qualche volta con imperdonabili ritardi però) ma non ha mai scalato le vette alte della classifica degli incassi, né tantomeno avuto un riconoscimento universale che certifichi il suo effettivo valore di regista. La critica italiana - e a volte pure il pubblico - è stata spesso spietata nel giudicare negativamente le sue pellicole, ma ci sono comunque anche molti accaniti estimatori che lo apprezzano parecchio, garantendogli così una buona visibilità e attenzione anche qui da noi.
I suoi film più noti sono le commedie nere come La comunidad o Crimen perfecto ma ha realizzato anche thriller atipici che hanno fatto molto discutere come El día de la bestia (comunque vincitore di un premio Goya, il massimo riconoscimento del cinema spagnolo), Perdida Durango o il pallidoOxford Murder – Teorema di un delitto girato in lingua inglese nel 2008. Ha poi al suo attivo un film decisamente controverso come Ballata dell’odio e dell’amore(Balada triste de trompetain originale) che nel 2010 fece incetta di premi alla Mostra del Cinema di Venezia (Leone d’Argento per la regia, premio Osella per la migliore sceneggiatura e Premio Arca giovani). Fu però anche abbastanza contestato (capolavoro o furbetta operazione commerciale?) quando – qualche tempo dopo – venne distribuito in sala. Insomma ci sarebbe molto da discutere intorno alla sua figura di artista (o presunto tale, che è poi l’idea che si sono fatta i suoi denigratori) e molto lo si è fatto anche qui sul sito qualche anno fa. Inutile dunque riaprire le polemiche di allora, visto che chi volesse saperne di più al riguardo, si può facilmente documentare leggendo l’interessante post(e l’accesa discussione a cui dette origine) “Esperpento iglesiano.Il cinema sobredosis di Alex de la Iglesia”) che nel 2015 gli dedicò@scapigliato raggiungibile digitando il link //www.filmtv.it/post/31748/esperpento-iglesiano-il-cinema-sobredosis-di-alex-de-la-igle/#rfr:film-33283
Non si capisce dunque perchè questo suo 800 Balas del 2002 , pur fregiandosi anch’esso di qualche credenziale importante (premio Touluse Cinespaña per la colonna sonora più quattro nomination ai Goya con una statuetta conquistata per gli effetti speciali) non abbia suscitato alcun interesse nella distribuzione nostrana, privandolo così di ogni (anche remota) possibilità di avere una distribuzione in sala (nella scheda del film qui sul sito, manca addirittura l’indicazione della trama a conferma del poco interesse e attenzione che questa pellicola ebbe all’epoca). E questo, nonostante che il film trattasse argomenti che avrebbero potuto invece richiamare l’attenzione di un adeguato numero di spettatori, sia gli interessati alle risate (amare o di grana un po’ grossa a seconda dei gusti e delle preferenze) che quelli che sono invece curiosi di scoprire il dietro le quinte del cinema (perché anche di questo il film tratta) parlando peraltro di un genere a noi particolarmente caro, quello degli Spaghetti western, suoi eroi compresi.
Un progetto considerato tanto serio quando era in lavorazione, che addirittura Clint Eastwood aveva in prima istanza accettato di comparire in un cameo nel ruolo di se stesso, e se questo poi non avvenne , fu solo perché non trovò di fatto il tempo materiale per spostarsi in Spagna anche per un solo giorno, impegnato com’era nello stesso periodo, a girare Mystic River, una pellicola che gli stava particolarmente a cuore.
Ma veniamo al film che narra la storia del piccolo Carlos, un ragazzino che non ha mai conosciuto il padre (uno stuntman morto in un incidente del quale la madre parla malvolentieri) ed è alla disperata ricerca di risposte più certe (per averle è disposto anche a fare un lungo viaggio incerto e avventuroso).
Una volta scoperto dove si trova il nonno (l’unico che può colmare la sua voglia di sapere qualcosa di più su quello sconosciuto genitore e sulla sua triste sorte) il ragazzo scappa infatti dalla sua bella casa di Madrid e si rifugia nel deserto d Tabemas per raggiungere da lì il suo avo che è rimasto a vivere sul set (polveroso ma ancora funzionante) dove sono stati girati quasi tutti gli spaghetti western, degli anni ‘60 - ‘70 .del secolo scorso.
Il film dunque si svolge quasi interamente nella regione di Almeria, il Texas inventato (cinematograficamente parlando) che ha fatto da sfondo e da cornice a quel cinema autarchico prodotto in grande quantità (capolavori e non) dando vita a un genere molto in voga in quegli anni lontani, artigianale e a volte grossolano, ma sempre foriero di successi per il forte impatto anche emozionale che aveva sul pubblico e nel quale proprio noi italiani, siamo stati maestri e innovatori (vedi le mitiche pellicole firmate da Sergio Leone che lanciarono in Italia e nel mondo non solo quello che sarebbe diventato un filone d’oro, ma anche la figura carismatica in via di formazione, di uno sconosciuto Clint Eastwood (che come ben sappiamo, avrà poi una carriera folgorante prima solo come attore e poi, una volta ritornato in patria, anche come regista).
E’ proprio in quel posto (mitico per più di una ragione) che si è insediato un gruppo singolare e colorato di vecchi stuntman che per sopravvivere, continua ad organizzare per i pochi turisti frettolosi che passano da quelle parti, spettacoli circensi ambientati appunto nel lontano west dell’800 utilizzando come ulteriore supporto operativo un gruppo di scalcinati Rom chiamati a interpretare il ruolo degli indiani. Nonostante l’impegno profuso però le loro esibizioni via via che il tempo passa, sono sempre meno apprezzate e frequentate, fino a fargli correre il rischio della bancarotta).
Fra loro, a tenere saldamente in mano la baracca e le redini di quelle rappresentazioni sempre più anacronistiche, c’è appunto julian (il nonno del ragazzo ) un personaggio singolare e quasi fuori dal tempo, che afferma di aver partecipato, come controfigura, a molti film importanti del genere e di essere persino diventato amico dello stesso Eastwood.
Julian e i suoi amici sembra siano rimasti prigionieri di una routine fortemente abitudinaria che li fa vivere quasi esclusivamente nel passato una specie di sogno nostalgico dal quale non intendono assolutamente risvegliarsi nemmeno quando vengono messi sotto sfratto e saranno costretti a difendere con le unghie e con i denti il loro regno ormai in disfacimento.
Hanno bisogno di uno scossone, e sarà proprio l’arrivo di Carlos a darglielo. Lui che proviene da un altro mondo e che è alla ricerca di una verità negata, compie dunque il miracolo di riportare la realtà (tutt’’altro che positiva) in quella dimensione “altra” ormai popolata solo da fantasmi.
In quello scenario corroso dal tempo ma così tanto significativo per la memoria cinefila, il regista, giocando le carte del ricordo e della nostalgia, ha ambientato dunque la sua storia, e lo ha fatto prestando molta attenzione (è questo uno dei punti di forza della pellicola) proprio nel cercare di riprodurre fedelmente tutti gli stilemi dei western più celebri realizzati su quel set (e questo si avverte fin dall’incipit della pellicola.) Un “film nel film” dunque che può persino illudere lo spettatore di stare visionando una vera, antica pellicola di cappelloni e non invece questa sua rivisitazione (anche un poco strampalata ma piena di affetto e di memoria condivisa) . De la Iglesia insomma riesce davvero a creare questa illusione fortemente emozionale oscillando continuamente fa realtà e finzione (molto divertenti gli aneddoti che Julian, racconta, perfetti per permettere allo spettatore di fare un vero e proprio tuffo – anche demistificatorio se vogliamo – nel passato.
Con il suo umorismo macabro e sopra le righe, il regista attraverso questa storia di disperata allegria, compone così il suo personale omaggio (squisitamente cinefilo, come ho sottolineato prima) al cinema, al suo sogno e ai sui artefici (anche i più umili e secondari, quelli dei quali non conosciamo il volto, come le controfigure che sono però fondamentali nei film d’azione, quanto - e forse anche di più - degli attori dei quali assumono il rischio prestando loro il proprio corpo e la propria audacia.
Questa ricerca di una figura paterna che lo accolga e lo rassicuri compiuta dal nostro piccolo eroe della pellicola è anche un vero e proprio romanzi di formazione che si sviluppa nella maturazione di un rapporto (quello fra Carlos e suo nonno) che piano piano si consolida e finisce anche per vincere le diffidenze iniziali di quest’ultimo verso il nipotino.
IIl regista inserisce elementi di comicità e di inaspettata violenza (che nella loro alternanza possono anche disorientare un poco lo spettatore) in una pellicola dove le tematiche sono davvero molteplici, prima fra tutte quella del simbolo positivo di una libertà conquistata che confligge col predominio pernicioso e corruttivo del denaro e sfocia in una tempesta tragicomica che ha conseguenze davvero imprevedibili, poiché di fronte alla speculazione edilizia che vuole cancellare il villaggio e il suo significato. Julián, svegliato dal letargo, decide di passare all’azione e utilizza per la prima volta pallottole vere (le ottocento “balas” del titolo, che sono poi quelle in vendita nell’armeria), per impedire che il Texas-Hollywood costruito nella regione di Almeria,venga raso al suolo. È a questo punto che il film, da commedia western, assume un tono più drammatico che conserva anche nella parte finale (una conclusione tutt’altro che lieta e che è giusto non rivelare)
Ma non c’è solo questo però poiché in 800 balas (un film intelligentemente d’autore pieno di sottintesi, sfumature comicità e nostalgia) si parla anche di tolleranza e di come sia possibile la convivenza (pacifica) fra etnie diverse (problema questo di grandissima attualità anche oggi). Una analisi più seria e approfondita della pellicola, ci fa inoltre comprendere (più che intuire) quale è il pensiero del regista (che non è né accomodante né positivo) riguardo (per esempio) a un’idea di progresso che, in maniera sempre più accentuata e subdola, sembra voler sminuire (o addirittura negare) il valore delle persone e delle esperienze del passato (e in questo c’è anche una lezione di civiltà che invita a una seria riflessione che va oltre la comicità e lo sberleffo che permea tutta l’opera.
La sceneggiatura comunque (di Jorge Guerricaechevarría e dello stesso Iglesia), si guarda bene dal gettare in faccia allo spettatore insostenibili giudizi morali che qui sarebbero davvero fuori luogo. Il regista è insomma davvero molto bravo a seminare qua e là (ma senza mai strafare) elementi di critica graffiante: lo fa con leggerezza e nonchalance mantenendo così sempre molto gradevole l’insieme e senza appesantire troppo il risultato complessivo: in fondo c’è anche il dramma, (e se vogliamo, pure il messaggio indotto) ma le gag e le tante risate che il film offre e suscita, contribuiscono notevolmente ad alleggerirne i toni mantenendo così in primo piano,privilegiandolo ampiamente il lato divertente dell’operazione.
Interessante anche la resa degli interpreti tutti in perfetta sintonia di intenti col regista, dal giovanissimo e ancora imberbe Luis Castro (Carlos) al più consumato, bravissimo Sancho Garcia (un Julian da manuale) che purtroppo ci ha lasciato nel 2012.
Accanto a loro meritano una menzione speciale anche Manuel Tallafé (il pistolero codardo), Luciano Federico (l’impiccato triste), Enrique Martínez (lo stuntman più spericolato), Angelo di Andrew (Cheyen), Eduardo Gómez (il cavaliere senza fortuna), Carmen Maura e Eusebio Poncela (la madre di Carlos e il suo compagno che qui vestono i panni dei “cattivi”), Terele Pávez (la nonna) e Ramón Barea.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta