Regia di Denis Dercourt vedi scheda film
Dopo qualche scena si capisce già che il mostro non è la pianista, che per una leggerezza ha rovinato l’audizione a una ragazzina. Il mostro è appunto la ragazzina, ipersensibile dietro l’apparenza composta e ordinata, che cova chissà quali rancori verso il mondo: torna a casa, chiude per sempre il pianoforte e si condanna a un’esistenza senza affetti e votata alla vendetta. Sì, ma quale vendetta? Dapprima viene fatto intravedere un tentato omicidio, ma sarebbe una soluzione troppo semplice (oppure l’incidente d’auto faceva già parte del piano, serviva a rendere la vittima insicura e dipendente da altri?); la svolta è il momento in cui la ex ragazzina si introduce in una villa di campagna che sembra uscita da un film di Chabrol, con la sua atmosfera ovattata, e può dare inizio al gioco al massacro. Avevo pensato via via, nell’ordine, a: sedurle il marito, mandarle a monte la carriera, farle fuori il figlio, convertirla al lesbismo. Invece no, sono tutti depistaggi, mezzi che conducono a un fine, a una punizione degna di un contrappasso dantesco: con un autografo hai distrutto la mia vita, con un autografo distruggo la tua. Un’unica riserva: non riesco ad amare fino in fondo i film in cui non posso identificarmi con nessuno; la ragazzina non mi sembra una persona normale che abbia subito un torto ma una potenziale psicopatica in attesa solo di un’occasione per manifestarsi, ed è per questo che non posso fare il tifo per lei.
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