Regia di Denis Dercourt vedi scheda film
Cambiare pagina, registro, stile, situazioni e quant’altro, è la meravigliosa operazione che il regista francese Dercourt (Mes enfants ne sont pas comme le autres e Lise et André) opera nel suo film chabroliano, dall’inizio alla fine. Infatti, a voltare le pagine, in prima persona, è dapprima lui, per poi aggiungersi l’altrettanto bravissima Melanie, la vera volta pagine, protagonista del lungometraggio.
Questa, la conosciamo da quando è una bambina introversa e silenziosa, che intende diventare una pianista. Un giorno deve affrontare un difficile esame di ammissione per una scuola pianistica. L’esame fallisce a causa del comportamento non consono alla situazione di una pianista membro della commissione. Classico. Questo episodio rappresenterà un trauma profondo per Melanie, che deciderà così di lasciare la musica. Dopo qualche anno inizierà lavorare in uno studio legale e poi come governante nella casa del titolare dello studio. Sarò proprio questa nuova esperienza a riportarla indietro in un passato che aveva voluto rimuovere.
Dunque, il voltare pagina, sta proprio in quell’operazione che gli strizzacervelli chiamano “rimozione”, che solitamente si verifica soprattutto nel caso di infanzie turbate. Infatti, la vicenda narrata dal film, apparentemente banale, il sogno bambino infranto, é narrata con lucida consapevolezza, evidentemente da una persona che ha vissuto emozioni analoghe, visto che il regista è stato solista di viola per l'Orchestra Sinfonica Francese e attualmente professore di musica da camera al Conservatorio Nazionale della Regione di Strasburgo.
Ma il grande pregio di questo film sta soprattutto nel rigore narrativo, nonostante i continui cambiamenti di generi, che ad un certo punto della storia si riannodano tutti nel noir, di cui i francesi sono professionisti. La narrazione è continuamente velata dall’ombra del dubbio e del sospetto. Alla fine vince la vendetta.
Il dualismo fra Melanie e Ariane è perfetto per la sua imperfetta corrispondenza: si tratta di due personaggi che si compenetrano e si respingono allo stesso tempo. Gli opposti che si attraggono. Il loro rapporto di sudditanza è straordinario. Vivono l’eros che si priva di qualsiasi piacere, nonostante la loro dipendenza fisica sia fatale per entrambi. Il merito appartiene senz’altro a due attrici straordinarie, Catherine Frot e Deborah François, quest’ultima impressiona per la capacità di comunicare la sua imbarazzante algidità.
Bravo Dercourt, perché come la sua volta pagine, è capace di scombinare quegli equilibri che nel cinema odierno appartengono solo a tanti registi ‘stonati’, che si affidano piuttosto ai tanti voltagabbana della politica produttiva.
Giancarlo Visitilli
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