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I giorni dell'eclisse

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su I giorni dell'eclisse

di maurizio73
10 stelle

Giovane medico e ricercatore russo, impegnato nella redazione di una tesi scientifica, si trasferisce in un desolato villaggio del Turkmenistan dove cerca di continuare il suo lavoro nella tranquillità di un isolamento eremitico. Le condizioni climatiche torride e l'opprimente marginalità dell'ambiente sociale iniziano a logorarlo nel fisico e nello spirito, facendolo approdare ad una condizione di indolente nichilismo.
Rievocando reminescenze d'infanzia e gli spunti letterari di una straniata ricognizione esistenziale, il grande regista russo ci precipita in una terra di nessuno sperduta tra le brulle asperità di una zona desertica dell'Asia centrale, quale avamposto di una remota frontiera ai margini di un impero sovietico soggetto alla disgregazione di misteriose forze centrifughe; un non luogo dove il tempo sembra essersi fermato, refrattario a qualunque segno di una obsoleta e anacronistica modernità. Nel solco di una scrittura cinematografica di scabra intensità e restituendo alle immagini la potenza di un enigmatico linguaggio universale, Sokurov accarezza il senso di uno sperdimento esistenziale in cui la dimensione personale e intima del protagonista, biondo dioscuro di un fallace positivismo scientifico, si intrecciano con l'irrevocabile condanna all'oblio ed alla morte, il disfacimento materiale e culturale di una civiltà sospesa sul baratro di una imminente estinzione. Nell'abbacinate sovraesposizione di un paesaggio assolato e nelle straniate prospettive aeree di un avamposto di civiltà che si adagia lungo il pendio di una millenaria stratificazione geologica, si coglie il segno di un misterioso simbolismo carsico, dove folze occulte e invincibili agiscono a dispetto di una patetica resistenza umana e dove la resa e l'abbandono dell'inconsapevole protagonista sono il segno ultimo di una comune e incondizionata resa al disfacimento ed alla morte. Acuta e sensibibile metafora sull'incipiente disfacimento di un impero sovietico ormai superato dalla Storia (il busto di Lenin silente testimone della morte annunciata di un ufficiale male in arnese, la disperata fuga di uno stralunato disertore che soccombe inutilmente sotto il tiro incrociato dei suoi compagni d'arme, la dilagante pandemia di una misteriosa sindrome metabolica) è anche e soprattutto lo spunto di una riflessione generale sul destino dell'uomo, sopseso tra l'inutile tentativo di una fuga in avanti e l'invincibile retaggio di una inevitabile prigionia.'Ci sta una terra di nessuno, da qualche parte nel cuore, come un miraggio incastrato tra la noia e il dolore'. Menzione d'onore al Festival del Cinema di Berlino del 1989.

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