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I giorni dell'eclisse

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su I giorni dell'eclisse

di AtTheActionPark
8 stelle

Registrato quasi subliminalmente su Fuori Orario molti anni fa in attesa del tanto agognato Le armonie di Werckmeister, I giorni dell'eclisse si è rivelato film altrettanto sconvolgente. Innanzitutto, l'accostamento tra due maestri dell'Est come Tarr e Sokurov, è un'operazione non priva di fascino e ricca di spunti. Entrambi i film, infatti, sono l'occasione per interrogarsi sulla «fine» in senso metafisico: quasi un invito ad addentrarsi negli abissi del post-umano. Due registi uniti dalla rinuncia all'uso "classico" del colore - optando chi per il bianco e nero (Tarr), chi per il seppia (Sokurov) -, e del tempo filmico - ovvero, attraverso tempi lunghi e lunghissimi -, e, soprattutto, con uno sguardo sempre rivolto al loro comune maestro, che li ispira da sempre nella loro indagine filosofica e cinematografica: Andrej Tarkovskij.
Il film di Sokurov, fin dal titolo, si inscrive in un contesto dichiaratamente apocalittico. I giorni dell'eclisse è la storia di un dottore che si trasferisce in una paesino abbandonato dell'Asia Centrale, per intraprendere degli studi. Ma il suo lavoro viene continuamente interrotto da bizzarri e fantasmatici incontri.
La sottile trama (sempre pronta a disgregarsi) è semplicemente un escamotage, da parte del regista, per parlarci della «fine» - dell'umanità, delle cose, dell'universo - in un mondo inaridito, soffocante, popolato da fantasmi. Un luogo dove, forse, potrebbero ancora accadere dei miracoli - un bambino che misteriosamente cade dal cielo -, ma in cui, a dominare, resta lo scetticismo.
Il film, tratto da un romanzo di fantascienza russa, è certamente un'esperienza ardua e criptica. Ma la capacità di Sokurov di mostrarci le «macerie» di un'umanità allo sfascio - quella post-sovietica, ma il film tende all'universale - è qualcosa di unico, e terribilmente prezioso.

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Ultimi commenti

  1. precint13
    di precint13

    Devo dire che ho trovato affascinante e problematico il rapporto che Sokurov instaura con il "campo", quello spazio dell'inquadratura che affonda nel visibile per/nell'/data l'impossibilità (semantica) di mostrarci l'invisibile. I viraggi seppia, ocra, marroncini che deflagrano nel colore o più raramente nel bianco e nero, la musica che sembra commentare altro dal film, l'anamorfismo e i grandangoli... tutto ci riporta allo sguardo: uno sguardo che sta tutto nel fuoricampo, nell'osservatore esterno, nell'impossibile onniscienza del filmmaker. Forse l'alieno del film - che nel formidabile incipit cala dal cielo e sbatte contro dei sassi quasi nel sottosuolo, in quelle "macerie" letterali che citi nella tua opinione - è proprio Sokurov. Folgorante la tua riflessione su Tarr/Sokurov/Tarkovskij. Saluti!

  2. AtTheActionPark
    di AtTheActionPark

    È, la tua, una lettura molto affascinante. Il viraggio molto evidente in questo film crea una sorta di distanza nell'atto stesso dell'enunciazione, determinando uno sguardo altro, «alieno», come bene suggerisci. Sokurov è effettivamente tra i cineasti che, in tempi abbastanza recenti, si è interrogato, non solo sulla forma, ma proprio sul "formato" cinematografico (che implica e riconsidera i ruoli di regista e spettatore). Mi sembra che l'immagine sokuroviana sia tra le meno definibili, sempre così mutante. Imponente, certo, ma al contempo già corrosa. Grazie per l'intervento, un saluto!

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