Regia di Walter Hill vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=ljSuROOUxg8
I Guerrieri e le altre tribù.
New York e(è) la culla metallica di un western urbano dove regna l’anarchia della violenza.
Il senso di libertà.
La ribellione di orde di selvaggi che popolano quartieri alti e bassi. Centro e periferia.
Il tutto sottolineato da una strepitosa colonna sonora!
Chi è il vero protagonista del film?
Il tema centrale, invece, è un punto fermo che abbaglia, nella notte.
Galvanizzante la sequenza iniziale dello spostamento Uptown con la subway; una sequenza composta da un convoglio di ragazzi di Coney i quali, in frammenti di inquadrature sparse montate letteralmente ad arte, raccontano dell’imminente raduno, dell’ultima volontà di Cyrus, di cosa li attende lassù nel Bronx, dall’altro lato della città. Mentre il treno della subway attraversa la città e le tribù che vivono la notte si presentano una dopo l’altra.
E tutto mentre ancora i titoli di testa invadono i binari.
É il migliore preludio al climax della storia, che tocca l’acme nel cuore del Bronx, nell’arena dove si consuma il caos e da cui origina la fuga – l’Odissea (pare del tutto evidente, anche se i meglio informati ci leggono, giustamente, l’Anabasi di Senofonte) – e la caccia all’uomo.
Il ritorno Downtown, verso Coney, la spiaggia. Verso il quartiere-casa.
Una fuga densa di trepidazione, adrenalina, vampate di sensualità da strada e tanto senso di libertà, che non può non appassionare ed invogliare al tifo per il nostro drappello di teppistelli, ribelli ed incivili sì, ma “leali” (come riconosciuto anche dai Riffs a fine film, ma questo noi lo avevamo già capito).
Mentre una sensuale voice-over fa la telecronista parziale nello scandire le tappe del viaggio a suon di dischi e minacce mortali.
Il film, dunque, appassiona anche perché si compone di quegli echi epici che, fin dall’antichità, affascinano tutti i pubblici della storia. La fuga perigliosa dalle (ed attraverso le) insidie del viaggio. La fratellanza, l’amicizia e la rivalità. Il senso (primordiale) di giustizia che fa da bussola. La ricerca della strada verso casa. Il riconoscimento sociale e la conquista della meta. Ed infine (cit. jonas) il malinconico senso di vuoto che segue il compimento di un’impresa (“Guarda che posto di merda, e abbiamo combattuto tutta la notte per ritornarci”). Il tutto inserito nel contesto di una lugubre metropoli che trasuda degrado e denuncia sociale in ogni suo vicolo e arredo (olltrechè nella divisione del suo popolo).
E poco male se i 40 anni esatti che si porta sulle spalle iniziano a pesare davvero. Pesano per i costumi (discutibili allora, figuriamoci oggi). Pesano per alcune soluzioni narrative e relative scene, dipinte tenuamente col pennello più che sporcate con lo spray. E pesano per i personaggi (ma non per le caratterizzazioni), che (salvo rare eccezioni) sembrano tutti usciti da un’opera teatrale di Broadway.
Aspetti che incidono, ma non sbiadiscono lo spirito del film né tanto meno ne minano le fondamenta.
Scolpite nel tempo.
Ho un solo, grande (ma grande davvero) rimpianto. Aver calcato ed esplorato gli stessi luoghi del film (solo alcuni) senza aver avuto la consapevolezza che lì si era fatta la storia del cinema.
Mi sa che mi tocca tornarci…
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