Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Il genio di Frank Gehry è l’individualismo applicato all’architettura e la visionarietà applicata alla geometria. La definizione di edificio non riguarda il suo aspetto esteriore, ma, unicamente, la sua funzione di proteggere e ospitare l’uomo e i suoi oggetti; e la sua armonia con l’ambiente circostante non passa necessariamente attraverso il conformismo o l’anonimato. Farsi notare non significa stridere; e si può essere originali senza riversare sugli altri i contenuti delle proprie allucinazioni. Una fantasia astratta, priva di riferimenti personali o oggettivi, è il tipo di creatività che meglio si addice ad una costruzione destinata a diventare un patrimonio pubblico e duraturo, e ad inserirsi in un paesaggio urbano contrassegnato dal movimento del traffico e dalle attività lavorative. L’eleganza senza tempo è quella che si libera dall’impronta della storia, riducendosi a struttura vuota; gli scarabocchi filiformi tracciati da Frank Gehry in preparazione dei suoi progetti sono come distillati di pensieri, di cui descrivono la sola traiettoria, tralasciandone del tutto la sostanza. Figure mentali non sono solo i contorni delle idee, ma anche la dinamica pura e semplice dei moti interiori, i tracciati dei vagabondaggi della mente, slegati da ogni concretezza. Forse non è un caso se questo documentario ha il carattere di un viaggio elusivo, che svicola da ogni richiesta di giustificazione e procede per negazioni, come la vita del protagonista, che non doveva essere architetto e che ha cambiato nome. E come le sue creazioni, in cui luce, colore e prospettiva si infrangono e moltiplicano, sottraendosi ostinatamente ad ogni rischio di dar vita ad una forma unitaria e riconoscibile. Essere diversi da se stessi per non essere uguali a nessun altro: è questo, forse, lo spirito di una ribellione che non vuole vincere, bensì dimostrare la sua inesauribile capacità di riproporsi, sempre nuova e fresca, con la stessa sorprendente intensità della prima volta.
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