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Guerre stellari

Regia di George Lucas vedi scheda film

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La recensione su Guerre stellari

di callme Snake
4 stelle

Guerre Stellari è una tappa importante nella Storia del Cinema americano, più che altro per la vastità degli effetti che ha avuto sulla fantascienza a venire. Su questo non piove; come non piove sull'assoluta novità tecnologica e spettacolare del fatto filmico  e sull'assordante operazione di marketing del fatto cinematografico (per usare la terminologia di Metz). Quello che non è da dare per scontato, ma che anzi andrebbe valutato molto attentamente, è il valore (termine obsoleto nel mondo negoziatore-negazionista in cui viviamo) di questa innovazione. Dobbiamo imporci di questionare cosa abbiano apportato di utile queste rivoluzioni "galattiche"  alla causa del cinema inteso come arte (oltre che momento di svago) e del film come opera chiusa e sensata (anche) in sé. La risposta che mi sento di dare io è: poco o nulla. L'unica arte in Star Wars è saper confezionare un prodotto il più vendibile possibile, e in questo Lucas non aveva pari (basti pensare che da qui in poi è campato di rendita). Anzi ne aveva, uno, uno soltanto: Steven Spielberg, con il quale condivide la visione superficiale e infantile dell'universo ("universo" credo sia un termine appropriato). Nemmeno l'unità dell'opera filmica è lasciata intatta, ma non a fini sperimentali o, passatemi il termine, filosofici: il tutto in nome del soldo. Ed infatti la pellicola non esiste senza i gadget, le magliette, i giocattoli, le figurine, i pezzi da collezione ecc... Chi ci ha rimesso sono soprattutto gli artigiani, quelli che campavano sul cinema considerato di serie B. Dopo Star Wars, dopo E.T., dopo Indiana Jones, persino dopo l'ottimo (per motivi che non è il caso di elencare qui) Lo Squalo, fare un film di genere senza un budget ultramilionario è divenuto quasi un voto al suicidio. Tutta una fetta di mercato che permetteva, per la ristrettezza dei finanziamenti, una buona libertà espressiva è svanita sotto i colpi degli effetti speciali sconquassanti e predominanti dei kolossal lucas-spielberghiani. Una volta che il modello certo per far soldi è stato posto, la regola difficilmente può essere infranta, il pubblico difficilmente vorrà accettare prodotti meno spettacolari dello standard già raggiunto. Così la quantità (di esplosioni, battute, coiti, morti ammazzati) ha surclassato la qualità nella scala del giudizio dei più. La conseguenza è il proliferare di grandi, patinati e costosi involucri di vuoto, fino a Michael Bay e, perché no, Tornatore. Se poi spostiamo lo sguardo sul lato ideologico-contenutistico, il film non guadagna nemmeno un punto, anzi. Siamo di fronte all'apoteosi dell'ipocrisia, con dei personaggi che proclamano il proprio anti-imperialismo (grazie, col Vietnam appena concluso tragicamente, i reduci senza prospettive e Taxi Driver è difficile appoggiare l’impero...) all'interno di un film che ha egemonizzato l'immaginario di mezzo mondo, convincendo generazioni intere che quello era il cinema e che quelli erano i modelli da raggiungere. Modelli che si riassumono in poche parole: bellezza esteriore, sfrontataggine, un futuro assicurato accanto ad una regina spaziale e degli ideali presi un tanto al chilo. Il modo in cui la cultura è trattata è poi vergognoso: Schopenhauer è ridotto a due estrapolati vagamente orientaleggianti da ripetere ad ogni occasione; "la vita è dolore" e "la forza sia con te". Che poi anche il concetto metafisico di "volontà" come arché della pshysis sia declinato manicheisticamente è irrilevante per molti, tranne forse per Schopenhauer che si sta rivoltando nella tomba. Già, perché nel cinema di Lucas e Spielberg, la forza/volontà agisce positivamente sui buoni, negativamente sui cattivi (che sono brutti o non si vedono in volto, proprio come in E.T.), in modo da giustificare la vittoria dei primi e la morte spettacolare e dovuta dei secondi. Siamo molto lontani dal concetto originale di forza cieca fine a se stessa insita dietro ogni fenomeno (Carpenter in un film che amo molto l'ha tradotta in Cosa, con esiti eccezionali...). Morte e amore sono privati di qualsivoglia spessore o potere emozionale: ci si ammazza e ci si innamora tra una battuta stronza e l'altra, senza dare allo spettatore la possibilità di chiedersi cosa l'amore e la morte comportino (domanda, immagino, legittima anche in un'altra galassia). L'edonismo di Star Wars è lo stesso che si ritrova in mostri come Top Gun (in entrambi ogni volta che muore il nemico, cattivo e brutto, qualcuno festeggia oscenamente) ed ha poco a che fare con la grande fantascienza degli anni '80: Blade Runner, Alien, La Cosa. Cinema che si pone criticamente nei confronti del mondo patinato e dalla "bellezza" ostentata in stile Flashdance, obbligando chi guarda allo "spettacolo" (de)composto da rivoli di carne putrefatta e demoni sotto la pelle. No, non posso amare Alien e Star Wars contemporaneamente, come non posso amare E.T. e La Cosa: in questo caso, come raramente mi è successo di constatare in una sala buia, due visioni del cinema e del mondo si escludono a vicenda, su terreni affini e speculari, senza conciliazione alcuna. Di Star Wars posso apprezzare forse la messa in scena spettacolare, le innovazioni tecniche e tecnologiche, ma non posso scindere il tutto dalla portata storica cinematograficamente nefasta di tale operazione. Se proprio devo salvare qualcosa del film di Lucas, potrei citare la colonna sonora di John Williams, un "pezzo" di musica che ha le sue radici nell'Ottocento, in Wagner particolarmente (si pensi al tema dei giganti nel Rehingold). Una rielaborazione intelligente che ben si presta alle tematiche del film, nonché una raro uso "non superficiale" della cultura da parte della recente (ancora per quanto?) industria cinematografica mainstream.

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Ultimi commenti

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  2. callme Snake
    di callme Snake

    Non me la sono presa troppo, mi sono solo un po' scaldato. Già passato tutto. Alla prossima, Perla1987

    1. LoLori
      di LoLori

      beh... te la vai anche a cercare...
      io non avrò certo la vs cultura... ma per Dio...
      Voi non avete la mia sensibilità!
      E sapete?!! ne serve per scrivere di cinema.
      Forse quanto la cultura vs saccente eh... hainoi... così vacua e velleitaria...

  3. Inside man
    di Inside man

    Per quanto riguarda le teorie sul mito di Campbell, sarebbe ora che qualcuno cominciasse a ridimensionarne l'importanza nella loro specifica applicazione ai criteri narrativi delle forme artistiche moderne e post-moderne. Nella variante di Vogler poi, queste teorie si tramutano in uno schema di regolette stucchevoli (tipo Bignami) solo in apparenza applicabili e intercambiabili a tutte le esperienze umane (reali e virtuali); oggi più che mai sono divenute semplicemente il simbolo di un cinema sterile, stereotipato, statico, incapace di innovarsi. Già dai tempi del cinema d'autore e della nouvelle vague francese (primi anni "60) le ricette del "viaggio dell'eroe" iniziavano a "puzzare" d'accademia, e agli albori degli anni "70 (dalla new hollywood al nuovo cinema tedesco) erano già abbondantemente superate. Esteticamente parlando quindi (poetica, forma, stili, linguaggio), per il cinema statunitense Guerre stellari, Incontri ravvicinati, e prima di loro Lo squalo, con la loro adesione al modello campbelliano, hanno indubitabilmente rappresentato l'avvio di un movimento restaurativo da cui quell'industria non ha più saputo affrancarsi, tant'è continuano ad imperare kolossal sci-fi, ibridizzazioni horror di bassa lega, remake, sequel, prequel, rifacimenti a non finire e di tutti i generi, mentre il vademecum Vogler rimane per loro un must ineludibile, e non solo per loro purtroppo). Ergo abbiamo assistito oltreoceano ad un trentennio di generale e costante impoverimento estetico e culturale (beninteso da noi è andata peggio), un'assuefazione di massa indotta pure dall'iterazione ripetuta e noiosissima dei mille volti campbelliani; niente di più naturale che il saltuario irrompere di un "Madre e figlio" o di un "Tree of life" generasse ovunque uno sconquasso di sbadigli ed episodi di rigetto. Uno status quo da tempo legittimato e in qualche modo bilanciato da spocchiosi intelllettualismi neo-con, capaci di santificare aldilà di ogni ragionevole limite la serialità di stampo televisivo (trasposta tout court al cinema) e una quantomai generica cultura popolare (sotto cui si cela sempre più frequentemente la pseudo-cultura trash, anch'essa grandemente rivalutata pena il crollo del castello di carte così faticosamente imbastito dai vari merchandising), di sostenere, ciliegina sulla torta, come non si possa nemmeno sfiorare il sublime senza successo di cassetta (alla faccia di Caspar D. Friedrich il quale non morì certo ricco e famoso). Si finisce dunque, più o meno inconsapevolmente, per mischiare Jung al maestro Joda, confondere Campbell con l'omonima scatoletta musa di Warhol, far contaminare i blockbusters di Lucas dal bushido, fumetti, taoismo, Bettelheim, Wagner e chi più ne ha più ne metta (non dovremmo dimenticare però che è stata proprio questa versione del viaggio dell'eroe di marca fanta-hollywoodiana a legare in modo indissolubile Star wars a Indipendence day e affini e a farne l'archetipo del blockbuster sci-fi modernamente inteso). Si crea in tal modo un pout pourri degno più che di un nipotino di Edgar Morin, di tanta critica snob e modaiola più modestamente ascrivibile a quel Fausto Colombo acclamato esegeta dell'economia di mercato culturale e della neotelevisione simil-berlusconiana (a suo dire trasformazioni correttive delle "degenerazioni" originate dalla "logica del grillo parlante" a sua volta ispirata dalla scuola francofortista...mah, in questi tristissimi anni avercene avute di tali degenerazioni). A mio avviso se due stelle al film possono stonare, cinque infrangono il muro del suono.

  4. callme Snake
    di callme Snake

    Beh, che dire? Sebbene io non sia così pessimista sugli esiti delle applicazioni delle teorie Campbelliane e, ultimamente, mi senta sempre a disagio ad utilizzare i termini "trash", "arte" e "cultura" (non per una questione di puro relativismo, ma perché tutto il Novecento ha profondamente spinto sull'erosione di una vecchia idea di arte che non è fortunatamente morta ma non può più certo essere unica ed esclusiva), mi sembra che fondamentalmente la tua analisi, Inside man, sia spietatamente corretta.
    Aggiungo solo una cosa: credo che il modello del viaggio dell'eroe abbia avuto e avrà sempre un gran potenziale, ma da qui ad accettarlo come fonte narrativa privilegiata o, ancora peggio, come modello di business inattacabile ci sta in mezzo una cosa chiamata conformismo, quasi un sinonimo di fascismo (culturale). Volenti o nolenti, è un fenomeno concreto tanto oltreoceano quanto in Europa (e particolarmente in Italia). Speriamo che le cose cambino (qualche segnale di vita ogni tanto c'è).

  5. maso
    di maso

    Aaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhh sacrilegio, record, un uomo che non ama questo film, mi sa che sei il primo che sento nella mia vita a cui non è piaciuto.

    1. LoLori
      di LoLori

      ...credo un altro sia tu...

  6. fra_paga
    di fra_paga

    Concordo con la tua recensione. Sono rimasto molto deluso da questo film. L'ho visto in successione ai 3 episodi (scadentissimi) che costituiscono i prequel, tanto per seguire la vicenda nella sua cronologia. Se nei primi 3 ci si trovava di fronte esclusivamente a un fracassone digitale smisuratamente stucchevole, con una regia patetica che palleggiava dal videogame alla soap opera, in questo episodio sono riuscito ad apprezzare il sano artigianato degli effetti speciali, una miglior performance degli attori ma nulla d'altro. Quando si entra nel vivo, la pessima regia di Lucas soporifera il tutto. Veramente sopravvalutato.

    1. Utente rimosso (LucioLoLoryLore)
      di Utente rimosso (LucioLoLoryLore)

      Lascia perdere la trilogia venuta dopo!
      L'unico motivo di interesse è stato quello di raccontare la genesi di Dart Fenner
      Ma con quegli effetti speciali ridondanti, il risultato è stomachevole...
      Salvo giusto il primo e neanche per intero...

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