Regia di Paul Leni vedi scheda film
Forse l’essenza del cinema sta proprio in questo: ispirarsi al fermo immagine del mondo per creare un decorativo sogno in movimento. Inventare, come il protagonista di questo film, storie di vita intorno alle statue di un piccolo museo delle cere, significa cogliere il lampo di una visione istantanea per svilupparlo in racconto. La settima arte compie il prodigio di tradurre una folgorazione poetica in una realtà fantastica, eppure possibile, collocata in un universo costruito ad hoc, eppure indistinguibile dal nostro. Le scene de Il gabinetto delle figure di cera sono verdi, rosse, ocra, azzurre, quasi fossero tanti quadretti indipendenti, ognuno soggetto ad una diversa esposizione di luce, come le distinte fasi di un percorso onirico. Le loro variopinte trasparenze ricordano i tasselli di una finestra a mosaico, che, inquadrando il paesaggio, lo filtra attraverso l’umore del momento e attraverso il velo cangiante delle fantasie passeggere, dalle tonalità ora luminose, ora cupe, ora vivide, ora sfumate. L’obiettivo della macchina da presa diventa così il vetro colorato oltre il quale vediamo apparire ciò che è contemporaneamente fuori e dentro di noi, oggettivo e concreto eppure trasformato dalla percezione individuale; vicino e lontano, perché assimilabile alle nostre usuali categorie mentali, però confinato nella dimensione irraggiungibile dell’astrazione letteraria. In questo senso il cinema è un’idea avvolta in una bolla d’aria, sospesa al di sopra delle nostre teste pe(n)santi, o racchiusa in una sfera di cristallo, da cui ci giunge il riflesso tondeggiante di un futuro che è anche presente e passato, perché appartenente ad un tempo ignoto, illogico, circolare, il cui decorso perennemente ci sfugge. Così il ladro di Baghdad, Ivan il Terribile e Jack lo Squartatore possono convivere sotto lo stesso tetto, che abbraccia verità e finzione, e riunisce ragione e follia, scienza e magia sotto il comune denominatore del pensiero umano, che produce gioielli e mostri, e fa vivere e morire il mito dell’amore.
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