Regia di Jules Dassin vedi scheda film
Harry Fabian fa il procacciatore di clienti per lo squallido locale notturno nel quale lavora anche la propria fidanzata come entraîneuse, ma sogna di entrare in affari nel campo delle scommesse: tenta di organizzare incontri di lotta con l’aiuto di un ex campione, fingendosi suo ammiratore, ma così facendo si mette doppiamente contro il boss che controlla il monopolio del settore, e che è anche il figlio del lottatore. Richard Widmark, smilzo e ipercinetico (“è tutta la vita che continuo a scappare”, lui stesso commenta desolato alla fine), appare chiaramente condannato fin dall’inizio alla sconfitta nonostante il suo “frenetico attivismo” (Mereghetti). Ma anche chi gli sta intorno non è in condizioni migliori: il proprietario del locale è attaccatissimo alla moglie, che però lo disprezza e progetta di lasciarlo per mettersi in proprio (e, quando ci proverà, andrà incontro a un fallimento e dovrà ritornare da lui); la fidanzata (Gene Tierney, assurdamente sprecata in un ruolo di poco spessore) è stufa di essere sfruttata da un uomo inaffidabile e tuttavia respinge la timida corte del vicino di casa, innamorato senza speranza; il boss (che fa inevitabilmente un po’ ridere, perché ha la faccia di Herbert Lom) deve combattere con un irrisolto complesso edipico. Una panoramica di miserie umane che trova il suo apogeo negli ultimi 15’, con la caccia all’uomo nei bassifondi di una Londra buia, fredda e umida, popolata da un branco di cialtroni che campano di espedienti e sono pronti a tradire chiunque in cambio di qualche soldo.
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