Regia di Sergey Bondarchuk vedi scheda film
Straordinario, stupefacente, è davvero difficile trovare le parole per descrivere questo film ambizioso e immenso, che secondo alcune fonti sarebbe addirittura il più costoso della storia del cinema e non faccio fatica a crederlo: oltre 360 minuti, più ancora nella versione originale (molti di meno in quella italiana), una infinità di comparse, scenografie e costumi da restare sbalorditi, oscar nel ‘69. Un vero e proprio film di stato, tanto da far temere che le ragioni dell’arte cinematografica potessero restare soffocate dalla pesantezza della produzione, invece no, Bondarchuk dirige splendidamente e vola alto. Difficile dire dove eccella, ogni aspetto è estremamente curato ed efficace: le scene di guerra sono superbe e non solo per lo sfarzo di mezzi; il cinema è immagine in movimento e Bondarchuk non lo dimentica, anche quando dirige decine di migliaia di persone, non si ferma mai al grande affresco statico, tutto si muove: le grandi masse come la macchina da presa. Una vera lettura musicale, con una fotografia sempre assolutamente impeccabile, nonostante la densità del contrappunto.
Ma che cos’è quest’opera: un trasposizione del romanzo di Tolsoj? No, direi di no, l’opera di Tolstoj non può essere resa in altro modo che da se stessa e di questo le menti che hanno partorito la pellicola dovevano essere consce. Il film non è tanto una “rappresentazione” del libro di Tolstoj, quanto piuttosto la sua “celebrazione”. Guerra e pace viene celebrata donandole l’unica cosa di cui mancava: “le immagini”, ora non più proiezioni della mente del lettore, ma segno tangibile fissato in modo indelebile sulla pellicola. Il romanzo è troppo articolato, ricco e complesso perché possa essere mutato in film e di fatti, se consideriamo quest’ultimo, ci apparirà incoerente e lo stesso filo degli eventi sarà sempre sul punto di spezzarsi. Ma a mio avviso ciò era inevitabile e non sarebbe bastato il doppio della pellicola per riguadagnare la coesione rocciosa dell’originale letterario. Ciò che vediamo è pura celebrazione, che non può sostituire il libro, ma che nasce da esso e in qualche modo cerca di incoronarlo, appunto arricchendolo di immagini. Questo spiega tutte le lacune e i temi fondamentali che nel film trovano poco o niente spazio, a cominciare dall’idea della Storia di Tolstoj o i percorsi formativi paralleli, anche se diversissimi, di Pierre e Andrei di cui molto viene omesso, come parecchi personaggi minori e tuttavia cruciali.
Qualche appunto è comunque lecito, nonostante lo sfarzo dell’allestimento. Gli attori, di cui si può apprezzare la somiglianza nel caso dei personaggi storici come Kutuzov e Bagration, sono in genere un po’ troppo vecchi; la vicenda si svolge nell’arco di 7 anni dal 1805 al 1812 (è omessa la parte finale, con Natasha e suo fratello ormai sposati e con tanto di bambini, almeno nella versione da 360’), e almeno nella prima parte, quella nel 1805, dimostrano in molti casi una decina d’anni più del dovuto: Pierre, Andrei ed Helene ad esempio. Altro neo: negli allestimenti scenografici dell’ambientazione architettonica, specie per gli interni delle abitazioni, si opta per spazi maestosi, spesso immensi, laddove forse un approccio più filologicamente corretto avrebbe preferito ambienti più piccoli e famigliari. Sembra di vedere non tanto il primo Ottocento delle vicende napoleoniche, quanto il tardo Ottocento in cui visse Tolstoj, o quello che invade il nostro immaginario collettivo. Anche nelle musiche e nelle danze mi pare che ogni tanto ci sia qualche licenza rivolta verso certi stereotipi ottocenteschi un po’ posteriori. Con l’acconciatura di Natasha siamo invece irrimediabilmente negli anni ’60 del Novecento.
Ricapitolando: giudizio ottimo, un film assolutamente da vedere, ma rigorosamente dopo aver letto il libro di Tolsoj; il caso contrario sarebbe assolutamente imperdonabile.
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