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Blue Movie

Regia di Alberto Cavallone vedi scheda film

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La recensione su Blue Movie

di maldoror
6 stelle

Dopo Spell (ecc ecc), Cavallone lancia un altro atto d'accusa nei confronti di una società da un lato maschilista, dall'altro in cui i rapporti sociali appaiono mediati dalla mercificazione e dalla legge del capitale. Anche qui è centrale il rapporto fra i sessi, e anche qui la sessualità assume una valenza politica, risultando irrimediabilmente legata a quest'ultima.
Il protagonista è un fotografo di moda, professione emblematica dello sfruttamento e della reificazione del corpo femminile, quindi della sua mercificazione e al contempo del desiderio di possesso dell'uomo su di esso. La donna viene dunque ridotta a merce, "alienata" da sè stessa nell'immagine consumistica, e pertanto strappata al proprio possesso per divenire puro oggetto di desiderio, di manipolazione ecc. Ma il desiderio di possesso da parte dell'uomo si tramuta in sadismo, in quanto egli non vuole che la donna diventi un oggetto vuoto e inerte, ma che conservi in parte la propria umanità e dunque la capacità di avere reazioni emotive, solo affinchè l'uomo possa percepire il proprio dominio su di essa e trarre piacere dalla sua sofferenza.
Ecco dunque che la mercificazione nasconde una volontà di possesso, volontà che trova espressione proprio nella fotografia, in quanto l'immagine diventa un modo per intrappolare la donna, piegarla al proprio desiderio, manipolarla oltre che mercificarla. Ovviamente la via d'uscita non può che consistere nell'attuazione pratica del famoso motto femminista "io sono mia", e dunque nell'uccisione del maschio e nella presa di coscienza da parte della donna di sè stessa e del proprio corpo...
Il film dunque, per quanto l'analisi sociale sia abbastanza acuta, risulta purtroppo inevitabilmente datato e didascalico, così come irrimediabilmente ancorati all'epoca appaiono i vari accostamenti (comunque pur sempre attuali eh, sia chiaro) fra merce ed escrementi di marxista (e pasoliniana) memoria, anche questi un tantino didascalici e forse anche un po' compiaciuti (mi riferisco soprattutto alla scena in cui la modella si spalma di merda davanti al fotografo). Come accadeva in parte anche nel precedente Spell, la messinscena e le immagini di Cavallone non riescono a trovare la forza necessaria per esprimere una reale carica eversiva, come invece avviene con Pasolini, sfiorando di tanto in tanto il tedio, e inoltre qui peccano eccessivamente di didascalismo, oltre a mancare quasi del tutto il gusto figurativo surreale e a tratti delirante che invece caratterizzava Spell, considerato da molti, e probabilmente a ragione, il miglior film di Cavallone (ma resta ancora da vedere Maldoror...).

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