Regia di Alberto Cavallone vedi scheda film
Ormai da circa un anno in qua, Alberto Cavallone (Milano, 1941-1997) è diventato una specie di ossessione personale: protagonista del mondo del cinema come sceneggiatore, soggettista, montatore (nonché collaboratore di diversi programmi televisivi Rai!), fu anche regista di una manciata di titoli a dir poco scomodi, opere che non potevano che stare a sé, seppur influenzati da altri film di quegli anni.
Lui si definiva un "anormale", nel senso che considerava la norma come stasi, chiusura: quindi per poter progredire doveva necessariamente stare alla larga da compromessi, concezioni scontate e piatte. " La norma è immorale perché vuole essere morale. [...] L'anormalità è desiderio di progresso, è ricerca e scoperta di nuove etiche e morali adeguate ai cambiamenti che la norma nega." Parole certo che possono anche diventare pericolose ma che unite al suo talento artistico hanno prodotto alcuni film stilisticamente tra i più interessanti, aggressivi, originali e quindi incompresi e perseguitati (anche dai critici) che l'Italia abbia avuto (e non solo - fermo restando che si siano visti, date le difficoltà estreme di produzione e soprattutto distribuzione).
Blue Movie (1978) segue quello che è considerato dagli esegeti odierni il miglior film di Cavallone, Spell - Dolce mattatoio (1977, aka L'uomo, la donna e la bestia), coevo dell'introvabile (ma sembra non inesistente) e misteriosissimo Maldoror (1977). Il titolo fa riferimento esplicito ad una pellicola omonima di Andy Warhol del 1969, sequestrata a causa della rappresentazione esclusiva di un rapporto sessuale tra un uomo e una donna. Ma data l'impostazione di Blue Movie, è evidente il riferimento a Sweet Movie di Dusan Makavejev (altro personaggio inviso ad autorità e società, persona non grata), dove si attaccavano con ilare irriverenza la politica (la dittatura comunista) e allo stesso modo i costumi sessuali e morali (vedere anche il suo WR - Mysteries of the Organism, sulle teorie di Wilhelm Reich).
Cavallone usa l'alternanza di materiali storici di repertorio (campi di concentramento, bonzi in fiamme ecc., come appunto Makavejev - ma ricordo anche la resa "scheletrica" di tali immagini da parte di un certo Michael Haneke), montandoli alla vicenda base del suo film, la quale è strutturata secondo modalità analogiche, evocative, a volte sconfinanti nel surreale (difatti AC è uno dei pochi nomi italiani ascrivibili a questo movimento artistico-etico). Una storia appunto senza sviluppo regolare (ma sempre riconoscibile in superficie) in cui si intrecciano le esperienze interiori dei pochi personaggi, esperienze che porteranno ad un finale sospeso, dove il tempo si rincorre, gli effetti delle azioni non sono stabili e si ricollegano all'inizio: chi sembra morto non lo è, ma poi lo è ancora; chi sembra vivere invece scompare. E intanto il sogno rincorre letteralmente la realtà.
Pilastro significativo del film è la professione di fotografo di Claudio (Claude Maran) che ospita Silvia (Danielle Dugas), scampata ad un tentato stupro in un bosco. Già i titoli di testa uniscono con impassibile secchezza alcuni fotogrammi allineati con spari di revolver, rimandando così alla violenza dell'immagine stessa e allo sfruttamento mercificatorio del corpo scaturito da Blow up. Tale estremizzazione porta allo svilimento della persona sia nella finzione che nella realtà: come sottolineano Roberto Curti e Tommaso La Selva, in Blue Movie "gli attori sono corpi, dunque merce, e la merce, secondo i dettami di certo marxismo dell'epoca, è merda". Difatti, parallelamente alla cioccolata spalmata sul corpo in una pubblicità interna a Sweet Movie, qua vengono spalmati gli escrementi, nonché conservati in frigo in pacchetti di sigarette e lattine di Coca Cola.
Blue Movie è il nome comune di certi film erotici e Cavallone lo usa nel suo senso più generico e astratto, come Opera o Sinfonia di Luciano Berio; ma il colore dominante è il rosso acceso, a volte accostato con violenza al blu. Questo non vuol dire che sia un film di costruzione e concezione erotica, piuttosto un'opera teorica in forma di "thriller" psicologico, un atto di pessimistica inquietudine: il fotografo che dice di non aspirare alla bellezza pare essere il regista stesso, come già lo straniero di Spell.
E torna anche la funzione significante degli oggetti (e ricordo Borowczyk), mentre la musica contrasta e apre varchi paralleli alle immagini: l'espressiva austerità di Johann Sebastian Bach (Toccata e fuga in re minore per organo BWV 565 ed altro), la briosità spumeggiante di Jacques Offenbach (Orfeo all'inferno), le sincopi dei ragtime di Scott Joplin. Se però in Makavejev od anche in Radley Metzger l'allegria della musica porta al sorriso (amaro o divertente), in Blue Movie la baldanzosità di Offenbach mette a disagio, è impotente di fronte alla "bassezza" voluta delle azioni e della visione.
Ciò che rende unico Cavallone è inoltre il suo stile che riesce a sorpassare le influenze cinematografiche esterne tramite una messinscena e una fotografia povera (significanti, quindi, da "serie B") unite ad ambizioni e significati impegnati, senza dimenticare i vari ricordi e le citazioni da Bataille, Lautreamont, Sade, ecc.: una sorta di Pasolini rimasto nell'ombra, ancor più radicale e pessimista, ancor più sporco (rimanendo Salò comunque il punto cardinale principale). In Cavallone non si possono scindere stile "alto" o "basso", come ne La bestia o L'impero dei sensi Borowczyk e Nagisa Oshima riuscirono a fondere l'esplicitazione erotica con la più alta dignità artistica. L'obscenus non era più di malaugurio, ma l'ottusità è dura a morire. 8
Da Il Mereghetti, dizionario dei film: il fotografo (Maran) che ha salvato una ragazza (Dugas) inseguita in un bosco in realtà tiene segregata in casa un'altra donna (Funari), costringendola a rituali scatologici [...].
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