Regia di Alberto Cavallone vedi scheda film
Cavallone ci è e ci fa, questa è l'unica risposta. Ci fa credere - e ci riesce benissimo - di essere un dilettante, un regista da sagra, un vero sprovveduto - complici in questo anche gli scarsi mezzi a disposizione - e un attimo dopo si (e ci) esalta con una nuova scarica di idee, prendendo in giro con questo film praticamente qualsiasi stereotipo del cinema d’azione. E non solo. Con un gusto, per di più, sempre in bilico fra demenziale spudorato e intellettualoide raffinato: gli inserti a cartoni, i nonsense, le ridicole didascalie in apertura, per citare alcuni espedienti riusciti.
Se dal punto di vista della logica la sceneggiatura del regista, di Guido Leoni e di Mario Imperoli fa volutamente acqua da tutte le parti, la regia spinge quindi con ogni forza per amplificare questo senso di disagio che coglie lo spettatore quantomeno inizialmente, quando ancora è ignaro dell'immane farsa cui si è sottoposto accettando la visione di Quickly; a qualcuno, osservando il gusto di Cavallone per la plateale demistificazione del trucco cinematografico e per lo scardinamento dei clichè del set e della postproduzione, potrebbe sovvenire il Mel Brooks di Balle spaziali (1987) o di Alta tensione (1977), lavori che però arriveranno soltanto più tardi.
La forza di Quickly è quella di saper giocosamente percorrere in lungo e in largo, senza soffermarsi mai, una moltitudine di generi e di ambientazioni; e questo per il solo piacere di sbeffeggiarli: c'è il poliziesco, c'è il thriller, c'è il gangster movie, ci sono il deserto, la città e il lago; per arrivare poi alla notevole serie di inseguimenti proposti, via terra (in auto, ma anche in bici!), acqua (nave, traghetto), aria (aeroplano): davvero, non ci si fa mancare niente.
Il ritmo è incontenibile, da mettersi a urlare; basti pensare alla sequenza iniziale: apertura in palese stile western, spazi aperti, case di legno e vento che solleva la sabbia; arrivo di una gang di truci motociclisti nella quale manca solo il Brando del Selvaggio (1954); rapina sensazionale con rapida carrellata di volti di una banda che richiama le più classiche dei film di rapina (i Sette uomini d’oro di Vicario, 1966, o ancor prima Colpo grosso, 1960, con Sinatra/Martin), stacco su una corrida alla Sangue e arena (1941); breve scena comica d’amore; un’organizzazione criminale in cui spiccano la bellona dall’accento russo e il cervellone nazista (parodia di 007 e del filone delle superspie, con inevitabile richiamo al Sellers di Stranamore, Kubrick, 1964); nuovo stacco (raccordo sul volo di un aereo) e siamo ai bordi della piscina della villa di un mafioso. In tutto questo sono passati, titoli di testa inclusi, appena sei minuti!
Magda Konopka, Sergio Leonardi e Jane Avril formano il tris di protagonisti: la prima è la ‘star’ del gruppo, avendo recitato in particine per Scola (l’episodio di Thrilling) e Lucignani (Le piacevoli notti), per poi toccare quindi la propria vetta artistica con il ruolo di primo piano nell’insipido e fumettistico Satanik di Piero Vivarelli; un cast, inutile a questo punto sottolinearlo, nel quale non spicca alcun nome degno di nota, eppure nulla si può eccepire sul piano della recitazione. Colpiscono invece le musiche briose, dinamiche, a tratti esuberanti: le firma Franco Potenza, assiduo collaboratore di Cavallone e già autore di colonne sonore di numerosi film, fra i quali il titolo più celebre è certamente E venne un uomo di Olmi (1965): tutt’altra tipologia di opera cinematografica, a dimostrare la versatilità del compositore.
Cavallone ci consegna in sostanza non tanto un semplice film, quanto un intero catalogo di cinema compresso in un centinaio di minuti, sfoggiando una dote in particolare che a tanti lavori dei suoi colleghi – passati, contemporanei o futuri – manca completamente: quella dell’autoironia. In questo, Quickly, spari e baci a colazione può somigliare a una specie di Deathproof girato da un Tarantino ante litteram e sotto Lsd, ma con in aggiunta (perché Cavallone riesce realmente a farne tesoro) un budget poverissimo e una sana dose di innocente goliardia. 8/10.
Il bottino in gioielli di un furto viene custodito in una cassetta di sicurezza da un complice della banda di rapinatori; il complice muore e i banditi tentano in ogni modo di risalire alla cassetta e di fregarsi, ciascuno per sè, i gioielli.
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