Regia di Alberto Cavallone vedi scheda film
Un film sulla schizofrenia non può che essere, a suo modo, schizofrenico: questo è l'approccio di Cavallone al cinema, probabilmente troppo cerebrale per essere pienamente recepito dal pubblico. La trama di questo Dal nostro inviato a Copenaghen (sic) è a dir poco involuta e raggomitolata, si scompone in maniera apparentemente casuale ed il regista - anche sceneggiatore - si diverte a non fornire più di tante informazioni o per lo meno a non fornirle in maniera lineare. Il risultato è tale da innervosire o annoiare, piuttosto che coinvolgere, per una storia che a tutti gli effetti è più basata su ricordi, dubbi, proiezioni e ansie che su dati di fatto concreti, azioni messe in pratica. Uno schizofrenico potenziale omicida è al centro della pellicola: e la sua malattia mentale è colpa principalmente dei tormenti psicologici derivanti dall'esperienza in Vietnam. Per dire questo Cavallone impiega un tale giro di parole e di immagini che non si può che arrendersi di fronte al suo talento, pur riconoscendolo, qui, male impiegato. Musiche apprezzabili di Franco Potenza, attori non memorabili (nè i nomi, nè le prestazioni), qualche scena eccessiva (sesso e sangue) inserita ad hoc, come sprone visivo, come promemoria del fatto che il cinema, se lo si sa usare, è anche uno strumento di stimolo intellettuale (una coppia che fa sesso alternata ad immagini di guerra, es.). Missione ambiziosa, ma purtroppo fallita; Cavallone è qui al terzo film e si rifarà comunque in seguito. 3/10.
Due soldati americani fuggono dagli orrori del Vietnam e riparano a Copenhagen, andando però incontro alla follia.
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