Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
Circa 80.000 anni fa, come recita la nota in esergo, la tribù di ominidi degli Ulam fa di tutto per conservare accesa la fiamma di un fuoco. Quest’ultimo è infatti il solo strumento di difesa – in aggiunta a qualche pietra e ad alcuni bastoni usati a mo’ di lance – che la tribù possiede contro terribili predatori, cannibali e tribù rivali. Sarà una giovane donna appartenente a un gruppo umano nel quale il linguaggio è più evoluto a far scoprire loro come generare il fuoco.
Film coraggiosissimo scritto grazie alla consulenza dell’etologo Desmond Morris e del glottologo Anthony Burgess, La guerra del fuoco riesce a raccontare con notevole acutezza lo sviluppo delle prime forme di intelligenza umana e la nascita della morale in un mondo nel quale la lotta per la sopravvivenza è la prima ragione di vita. Sicché alla violenza belluina, agli accoppiamenti brutali e all’impotenza contro le malattie vediamo progressivamente sostituirsi parentesi di poesia (uno dei Neanderthal che cerca nel fogliame l’odore della donna amata), l’umanizzazione del coito e le prime forme medicamentose. Tratto da un romanzo del 1911 di J.H. Rosny Aisné e girato in splendici scenari collocati tra Canada, Scozia e Kenya, il film di Annaud è un’opera capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo, lasciando che i cavernicoli che ne sono protagonisti si esprimano secondo idiomi gutturali che non necessitano neppure dei sottotitoli. All’intraprendenza della forma corrispondono anche i meriti contenutistici, legati soprattutto al ruolo cruciale della donna, vero vettore di civilizzazione. Peccato solo che il racconto si illanguidisca in un finale caramellato.
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