Regia di Karel Reisz vedi scheda film
Quando il film fu presentato al festival di Cannes di quarant'anni fa, deve avere suscitato un'impressione di notevole freschezza negli spettatori e nei critici. Rivisto oggi, quell'impressione è inevitabilmente svanita, anche se questo "Morgan" continua ad esercitare il proprio fascino forse giusto per un mondo che è inesorabilmente cambiato. E tuttavia molti dei temi toccati dal film di Reisz sono ancora vivi ed attuali, sebbene quello della borghesia che vuole mettere la camicia di forza a chi non si attiene alle sue regole, già all'epoca non nuovo, è stato in questi ultimi quarant'anni più volte trattato da differentissime angolazioni. Resta comunque un film interessante da vedere, anche perché si percepisce l'identificazione del regista nel personaggio. Pur tratta da un originale televisivo di David Mercer, anche sceneggiatore del film, la figura di questo Morgan, figlio di un ferroviere comunista e di una cameriera anziana che, sono parole del figlio, "non vuole destalinizzarsi", pittore spiantato e in panne, attratto dalla primitività dei gorilla, imbevuto di idee trotzkiste e innamorato della giovane moglie divorziata Leonie (anche Trotsky si chiama Lev, cioè Leone), non poteva non attrarre a sé un esule cecoslovacco come Reisz (1926-2002), che aveva vissuto da lontano (era fuggito in Gran Bretagna durante l'occupazione nazista della Cecoslovacchia, in quanto ebreo) la stalinizzazione del proprio paese d'origine. Morgan parla in continuazione di Lenin, di Stalin e dell'assassinio di Trotsky, e non per caso una delle pagine più emozionanti del film è la visita alla tomba di Karl Marx al cimitero di Highgate insieme all'anziana madre. Quella di Reisz (e prima di lui quella di Mercer), inoltre, è una (auto)critica anche verso i "giovanni arrabbiati" del free cinema inglese, ridotti ormai a un qualcosa di informe, come l'idea rivoluzionaria trotskista, che li tiene lontani dalle classi borghesi così come dai partiti della sinistra organizzata: nella nostra società non c'è più spazio, sembra dire il regista, per una sana e anarchica fantasia rivoluzionaria.
David Warner (gà visto nella parte dell'antipatico Blifil nel "Tom Jones" di Richardson), che in questo film si pone come degno precursore di altri credibili attori britannici, come il Malcolm McDowell di "Oh Lucky Man!" e il David Thewlis di "Naked", è bravissimo, molto più della celebrata coprotagonista Vanessa Redgrave.
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