Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Il mio rapporto con Miike non è ancora definito.
E come può essere definito e defintivo il rapporto con un regista così diverso da sè ogni volta, così inafferrabile, così capace di farti gridare al capolavoro e poi, tre minuti dopo, mostrarti senza pudore la sua parte più trash.
Qual è il vero Miike?
Quello grottesco, eccessivo, sanguinariamente visionario di Ichi?
O quello disturbante, metaforico e psicologicamente violentissimo di Visitor Q.
O quello classico della prima parte di Audition?
O quello pazzo e freddamente sadico della seconda?
Oppure questo qua, quello di un film inafferrabile come il suo cinema, un film, e un cinema con esso, che passa senza ritegno e senza soluzione di continuità da impressionanti sequenze visionarie a lordi e stretti interni, dalla sensazione di trovarci davanti a qualcosa oltre la realtà, trascendentale a violentissime scazzottate e spargimenti di sangue.
Che film è Big Bang?
Difficile dirlo.
C'è un carcere, c'è un timido ragazzo gay diventato mostro per una notte che vi entra, ce n'è un altro violento e carismatico, c'è un direttore subdolo.
Il ragazzo violento è stato ucciso, non si sa da chi, non si sa perchè.
E parte così un'inchiesta, e il film diventa qualcosa di strano, una serie di domande che non vengono mai pronunciate dai protagonisti del film ma appaiono invece sullo schermo, qualcosa di trierano, come se ci fosse qualcuno al di fuori della diegesi, che sia più un qualcosa di un qualcuno non si sa, una morale, una ricerca della verità, una tesi che entra nelle vicende, forse noi stessi.
In realtà non siamo davanti a un giallo, non è che ci interessi così tanto chi sia l'assassino, ma se giallo dev'essere è un giallo che nel nostro mondo indaga pochissimo, che le prove e gli indizi più che qua, da noi, le cerca in un mondo altro, parallelo, un mondo fuori dal mondo o forse sopra di esso, e come tutto questo non richiami quel capolavoro di Una pura formalità in cui più si andava avanti più i contorni di quel luogo si facevano sottili, eterei, trascendenza.
E qui lo stesso, Miike fa di tutto per non ancorarci alla realtà e ci fa perdere tra quelli che sembrano palchi teatrali, luoghi prima angusti e poi vastissimi, estratti di cartone animato e spazi e cieli irreali, che quello lì fuori dal carcere sembra un tempio azteco e là, lassù, c'è un razzo che mi porterà via, dagli alieni, in Paradiso, dove volete voi.
E allora ci sono uomini che vogliono uccidere per poi trovare la forza di suicidarsi e altri che si suicidano mente vengono uccisi forse perchè quel razzo desiderano prenderlo il prima possibile.
E c'è un ragazzo dolce che si innamora di un altro ma trova un raggio a trafiggergli il cuore.
Miike cerca di raccontare sensi di colpa e desideri di redenzione e lo fa in maniera evocativa, metaforica, lievissima alternando tutto alle sue tremende scene di violenza.
Forse non comprendiamo tutto, forse è tutto troppo maledettamente difficile, quei colori ocra che dominano dapertutto, quell'uomo che sempre viene a chiamare la sua vittima mentre l'altro, il ragazzo buono, cammina sopra l'aqua che i loro vestiti laverà, quelle scale orizzontali, quella semplice vicenda di omicidio che si fa così complicata.
Chissà cosa è sto film.
Forse non è niente di complicato.
Forse è solo la storia di un uomo innamorato, di uno che non riesce più a vivere e di loro due che parlano di tripli arcobaleni e di amori che non saranno mai.
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