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Shinjuku Triad Society

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su Shinjuku Triad Society

di giansnow89
7 stelle

Miike fa una presentazione della sua proposta alternativa.

I primi lavori che mi sovvengono alla mente, dovendo individuare – se non proprio dei modelli – almeno dei film propedeutici a Shinjuku, sono i due A Better Tomorrow di John Woo (segnatamente il primo) e il Violent Cop di Takeshi Kitano. Con i film del dittico di Woo, Shinjuku condivide la dialettica guardia-ladro fra due fratelli, che tuttavia Miike inverte: in Woo era il fratello cattivo che in un'ottica di redenzione e penitenza tentava un riavvicinamento col fratello buono e metteva in pericolo la sua stessa vita pur di salvarlo dalle grinfie dei gangster; in Miike il "buono", il poliziotto, figura assai equivoca, si propone di tirare fuori dall'ambientaccio quell'avvocatucolo da strapazzo del fratello minore, più per ambizione, per non esserne compromesso, che per un rigurgito di nobiltà d'animo.

Sicché il ribaltamento dei ruoli consente ai due registi di enucleare il senso della loro poetica: l'heroic bloodshed di Woo è un genere più drammatico che d'azione, dove il lato action, sconfinante spesso nello splatter, e comunque sempre esteticamente sublime, è solo un elemento che serve ad amplificare il dilemma in atto fra i protagonisti; Miike invece spoglia tutti i suoi personaggi di connotati eroici, così che il sangue e la violenza, siano non già il mezzo per perseguire lo scopo, ma la modalità di espressione più naturale del proprio sé. Miike unisce l’alto al basso, la nobiltà alla miseria. Persino il sangue nel suo cinema subisce un attentato e una mortificazione della propria mitologia: qui non ispira più ribrezzo che le colate di seme maschile che vengono spruzzate nei vari rapporti omosessuali, per tacere delle estremità scatologiche e pasoliniane cui Miike giungerà in Visitor Q, quando anche in mezzo a tanta violenza gratuita, saranno le feci umane di un cadavere a farci sussultare sulla sedia, ma anche il latte, sgorgante impetuoso dalle mammelle materne, a stimolare un fremito di piacere nei nostri lombi. Sangue, sperma, feci, latte: l’alto e il basso annichiliscono gli iati e confluiscono nel medesimo torrente passionale ed erotico di Takashi Miike.

 

Si diceva anche di Takeshi Kitano, con il quale c'è invece in comune il personaggio del poliziotto sanguinario. Il Violent Cop di Kitano era però ammantato di un'aura mitologica, da giustiziere al di là del bene e del male: era un poliziotto che credeva nella giustizia, solamente in una forma più trascendente di quella amministrata dall'uomo. Il poliziotto di Miike è un pendaglio da forca che solo per puro caso si trova dalla parte dei buoni. Sicché Miike riprende personaggi e situazioni di altri suoi illustri e sanguinolenti colleghi orientali contemporanei, ma lo fa con le medesime proporzioni che sussistono fra lo spaghetti western - quello più lutulento, più deteriore, dove il salvatore e il masnadiero diventano figure quasi indistinguibili - e il western classico. Potremmo dire che in Woo la pallottola è preceduta nel suo agire dal pensiero umano e da un substrato di valori, in Kitano la pallottola trascende il pensiero umano in quanto emissaria di una volontà superiore, mentre in Miike invece nega totalmente l’esistenza di un pensiero umano. Gli automi di Miike sparano, violentano, sodomizzano sulla base di conflitti irrisolti e pulsioni animali: in Shinjuku Tatsuhito non riesce a risolvere il conflitto fra le sue origini cinesi e il suo sentirsi giapponese e nella pulsione erotica (ma non eroica) verso l’avanzamento di carriera trova la sua ragion d’essere; nel capolavoro Audition l’assassina denuncia l’impossibilità di avere un rapporto esclusivo e totalizzante col suo partner maschile; in Visitor Q una famiglia sventrata prende coscienza della sconfitta e del fallimento del sistema patriarcale, e violentemente, grottescamente, surrealmente, coagula attorno alla madre e alla moglie, sino ad allora brutalmente seviziata. Passione e morte sono le chiavi di volta, antisociali, animali, attorno alle quali l’universo di Takashi Miike disperatamente si aggrappa.

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