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Shinjuku Triad Society

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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AndreaVenuti

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La recensione su Shinjuku Triad Society

di AndreaVenuti
9 stelle

Shinjuku Triad Society è un film giapponese del 1995, diretto da Takashi Miike.

 

Sinossi: Kiriya è un poliziotto corrotto e violento il cui unico interesse è il benessere della propria famiglia; suo fratello minore Yoshihito è un brillante avvocato, tuttavia ha deciso di lavorare per un temibile boss della triade taiwanese (Wang), il cui business primario è il traffico di organi.

Il poliziotto farà di tutto per allontanare l'amato fratello dal mondo criminale; una spirale di violenza sta per abbattersi sul quartiere di Shinjuku...

locandina

Shinjuku Triad Society (1995): locandina

Shinjuku Triad Society è un film determinante per il moderno cinema giapponese, il quale negli anni Novanta vive un nuovo periodo d'oro lasciandosi definitivamente alle spalle la grave crisi iniziata tra gli anni Settanta/Ottanta, in quanto il regista dell'opera (un "giovane" Takashi Miike) è finalmente libero di esprimere tutto il suo genio visionario (dopo un poco stimolante apprendistato per la televisione; inoltre importante ricordare come Miike verso la fine degli anni Ottanta sia stato l'assistente alla regia di registi importanti come Shohei Imamura, Hideo Onchi e Kazuo Kuroki).

 

Innanzitutto l'opera in esame viene considerata come il primo film di Miike girato per essere distribuito al cinema e non in home video [tuttavia lo stesso regista non ricorda bene se sia questo il primo film ad essere distribuito per il cinema oppure Daisan no gokudo], in aggiunta si tratta del primo episodio dell'ormai celeberrima trilogia Black Society Trilogy (fiore all'occhiello della filmografia di Miike) in cui il regista nipponico esplora i legami tra triade cinese e yakuza (gli altri due film sono Rainy Dog//www.filmtv.it/film/33072/rainy-dog/recensioni/898745/#rfr:none, e Ley Lines).

 

Shinjuku Triad Society è il primo tassello fondamentale della carriera di Miike; un regista che pur muovendosi sempre nei meandri del cinema di genere riesce a decodificarlo, portandolo su lidi impossibili da catalogare.

Il film è contraddistinto da un incipit assolutamente originale che presenta un linguaggio filmico riproposto in altre opere del regista.

L'opera si apre in medias res (costante in Miike) con la macchina da presa fissa in campo totale mostrandoci un uomo completamente nudo disteso sul letto, accompagnato da una voice-over rauca (appartiene all'uomo inquadrato) che accenna alla sua relazione amorosa con un boss delle triadi; subito dopo Miike scombussola lo spettatore optando per un montaggio ultra veloce e sincopato, alternato tra un vincolo di Shinjuku in cui vengono ritrovati degli uomini decapitati ad una discoteca fatiscente, il tutto arricchito da una musica elettropop incalzante.

 

Shinjku Triad Society mette in scena il forte legame tra Miike ed il genere Yakuza, ma come accennato in precedenza l'autore sta sempre bene attento a non fossilizzarsi su meccaniche preimpostate.

Al regista in questa prima fase di carriera interessa mostrarci la difficile integrazione nella società nipponica, di persone non propriamente giapponesi come il protagonista Kiriya, un poliziotto con origini cinesi oppure l'amante di Wang (Zhou un giovane taiwanese); uomini che presentano una forte crisi identitaria, sentendosi constatemente emarginati.

Questi personaggi per porre rimedio a tale sofferenza, cercano un disperato rifugio che può essere rappresentato dalla famiglia tradizionale (come per il protagonista) oppure da un'associazione mafiosa, tuttavia la ricerca di questo barlume di felicità condurrà a violenze atroci.

Miike ha più volte evidenziato come «più l'amore è grande più aumenta la violenza», a tal proposito Kiriya farà di tutto pur di allontanare il fratello dal mondo criminale, e riunire sotto lo stesso tetto la famiglia.

 

A proposito di violenza Miike non fa assolutamente sconti; determinate sequenze richiamano ad esempio il genere del Pinky-violence come dimostra la scena in cui Kirya ordina ad un suo sottoposto di stuprare un criminale con l'obiettivo di estorcergli delle informazioni.

Una violenza estrema, per nulla spettacolare (lontana dalle coreografie sontuose di John Woo oppure dai balletti geometrici di Johnnie To) ma contestualizzata e quasi mai gratuita; Kirya è un folle violento, tuttavia non prova piacere nel provocare dolore, per lui la violenza è solo un mezzo utile a conseguire il suo scopo (salvare il fratello).

 

Lo Yakuza-eiga di Miike inoltre presenta anche una velata critia sociale, aspetto raramente evidenziato dagli studiosi di settore; per il regista lo stato giapponese è un'associazione a delinquere, qui simboleggiato dalla polizia: tutta corrotta, al saldo degli Yakuza.

Un altro aspetto interessante proposto dai Miike nei suoi yakuza, riguarda una sessualità alquanto perversa e bizzarra; ad esempio l'autore indugia molto sull'omosessualità di molti criminali, ed il tutto può essere letto come un attacco alla tanto celebrata virilità di tali personaggi. Nei film di Miike gli yakuza non vengono mai mitizzati, anzi sono sempre soggetti pazzi, violenti, senza nessuna morale e destinati alla distruzione.

 

Shinjuku Triad Society è contraddistinto pure da una splendia regia; come si può intuire dall'incipit analizzato ad inizio recensione, Miike propone uno stile libero ed iconoclasta alternato però a frangenti "classici" con macchina da presa fissa e lenti movimenti di camera, ma il "virtuosimo" è sempre dietro l'angolo.

Miike ci proporrà ad esempio una serie di soggettive suggestive (pensiamo ai bambini dell'ospedale a Taipei, oppure il post-pestaggio subito da Kiriya), un uso originale del dutch angle atto a creare molta suspense (quando Kiriya interroga il collega avvocato di suo fratello) o ancora la macchina a mano in situazioni concitate (poco dopo il primo incontro tra i due fratelli).

Bellissimo anche il finale: freeze-frame in bianco e nero con voice-over di Zhou (l'amante di Wang, ossia il personaggio inquadrato ad inizio film) che ci svela un retroscena intrigante.

 

Capolavoro.

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