Regia di James Gray vedi scheda film
Il giovane Leo esce di prigione dopo aver scontato una breve pena detentiva per furto d’auto. Lo zio, un uomo d’affari che produce vagoni per la metropolitana, gli prospetta la possibilità di lavorare come operaio nella sua fabbrica. Veramente lui vorrebbe diventare come il suo migliore amico, che è pieno di soldi e ha una fidanzata bellissima (l’adorata cugina di Leo), ma presto si rende conto che per riuscirci deve prestarsi a fare lavori sporchi. Legami di famiglia e legami malavitosi pericolosamente intrecciati, come in tutto il filone di cui è capostipite Il padrino (è impressionante constatare come James Caan, invecchiato, assomigli al Marlon Brando di allora) e che James Gray, a quanto pare, si è messo a ripercorrere con zelo: uomini in bilico fra ambizione di emergere e voglia di normalità, eternamente costretti a guardarsi le spalle, perché chiunque può tradire. Non si può non rilevare il manierismo dei personaggi, che attraversano una successione di scene madri come se fossero su un nastro trasportatore, e l’eccessiva esemplarità del finale; tuttavia, all’atto pratico, è un film che mi ha appassionato e non vedo il motivo per negargli le 4 stelle (più o meno le stesse sensazioni che ho provato per I padroni della notte). Il titolo, a meno che non mi sfugga qualche doppio senso, significa semplicemente “Gli scali”: si vede che in originale suonava meglio.
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