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L'inferno

Regia di Francesco Bertolini, Adolfo Padovan vedi scheda film

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La recensione su L'inferno

di EightAndHalf
8 stelle

Saremo anche "Nel mezzo del cammin di nostra vita" ma siamo anche "all'inizio del cammin di nostro cinema". Il 'nostro' può essere inteso in senso sia universale (d'altronde il film è degli anni Dieci, e il cinema ne aveva proprio bisogno) sia patriottico (è il primo lungometraggio della storia del cinema italiano). Avvincente e assai interessante da un punto di vista prettamente estetico, L'inferno di Padovan e Bartolini rivela ancora oggi la sua altissima rilevanza nella storia del cinema, rilevanza poco rincorsa dalla fama. E' vero che dal punto di vista contenutistico il film non aspira a niente di più che quello che avrebbe potuto affermare Dante nella sua Commedia, e anzi, com'è ovvio (e lo sarebbe stato anche se il film fosse stato un capolavoro), i contenuti non hanno il fascino e la portata della poesia, ma l'intento del film è chiaramente (e solamente) spettacolare. Se il quadro che viene fuori dell'umanità è sporco e rivoltante (benché si tratti di un film dell' '11, ci sono una serie di rappresentazioni abbastanza crude, nella loro ingenuità) è tutto merito degli effetti speciali elaborati direttamente sulla pellicola e delle interpretazioni espressionistiche dei protagonisti. Infatti il film rincorre un'estetica tesa alla forzatura e al barocchismo, esplodendo in immagini di grande creatività, frenate dalle tecnologie dell'epoca (si vede chiaramente il filo che tiene legati i vari demoni o dannati che volano, e le sovraimpressioni sono ricche di imperfezioni) ma sovente indimenticabili (dalle Malebolge in poi, i due registi dimostrano un potenziale visionario davvero notevole, nelle costruzioni sceniche quasi teatrali e negli accorgimenti prettamente stilistici). Non dotato di un carattere davvero unitario ma diviso nei vari episodi del viaggio di Dante e Virgilio nei vari gironi dell'Inferno, L'inferno non è in grado di dare un quadro d'insieme, mostrando sprazzi episodici di umanità e non un discorso integro: eppure quegli sprazzi sono assai eloquenti, le didascalie giungono nell'immediato bisogno di chiarimenti (e non ce ne sarebbe stato bisogno, le immagini parlano da sole), e simili ingenuità contenutistiche, abbastanza fisiologiche in un'arte neonata com'era allora il cinema, possono essere tranquillamente perdonate. 
Discorso a parte può avere tutto ciò che riguarda gli effetti speciali, e alcuni esempi possono essere sufficienti: per ottenere l'idea di gigantismo per alcuni personaggi, questi ultimi si trovano più vicini a noi e in primo piano rispetto ai personaggi più indietro, ma tutti sono disposti in maniera tale da sembrare sullo stesso piano; le sovraimpressioni parziali dei piedi dello stesso gigante esasperano le proporzioni, e i piccoli Dante e Virgilio sembrano arrivare nemmeno al ginocchio dell'omone; per simulare il mastichìo di Lucifero ai danni della carne di Giuda, il corpo di questi è disteso, muove le gambe ed è disposto all'altezza della bocca di una gigante faccia incredibilmente disturbante, che con gli occhi sbarrati sembra sul punto di sbranare tutto ciò che lo circonda; per mostrare di portare con sé la sua stessa testa tagliata, un dannato è in realtà un attore dalla testa completamente dipinta di nero (invisibile sullo sfondo monocromo), e tiene la testa di un altro attore di cui si vede solo la testa, perché è tutto il resto del corpo ad essere dipinto di nero. La furia del contrappasso infernale è resa con abile maestria, grazie a una volontà sperimentatrice che non si ferma davanti a nulla (tanti i seminudi e le masse strazianti di corpi deformati) e ha saputo donare un gioiello da recuperare assolutamente, per niente noioso: un ripassino della Commedia che comunque ha un merito più cinematografico che letterario (com'è giusto che sia, benché sia ingombrante la dipendenza dall'opera letteraria), nonostante i pochi flashback riguardanti Piero e Francesca, Pier delle Vigne e il conte Ugolino. Ulisse, purtroppo, è assai trascurato. 

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