Regia di Robert Kramer vedi scheda film
Il diario quotidiano di un progetto sovversivo, che, soprattutto all’inizio, pare vissuto più come un’abitudine, un’inclinazione mentale che come un sogno politico vero e proprio. La spinta ideale si spegne nelle discussioni sull’impostazione teorica, nei discorsi sui dettagli organizzativi e nelle chiacchiere sullo stato dell’arte. I dialoghi propongono una sorta di autoanalisi dello spirito sessantottino d’oltreoceano, che si tasta ripetutamente il polso per poi ritrovarsi, sostanzialmente, ogni volta al punto di partenza. La prima parte del film sembra pervasa dai fantasmi di Malcolm X e Pancho Villa, strappati ai poster e ai pamphlet, e tramutati in un fumo ideologico da circolo culturale giovanile, il fumo di un calderone che mescola avanguardia teatrale e sperimentazione cinematografica, emancipazione femminile e terzomondismo, movimento operaio, antirazzismo e rivoluzione messicana. L’utopia ha una forma indistinta, ed è più che altro un atteggiamento, che nasce come rifiuto del potere dello stato oppressore, e che, con le sue mille anime, stenta a trovare un identità. L’unità è raggiunta solo nella seconda parte, nella fase esecutiva, pur nella varietà di mezzi impiegati e nella molteplicità dei fronti di combattimento: l’attacco sfrutta diversi strumenti tecnologici ed è di fatto – come si direbbe oggi – di natura multimediale. Il momento dell’azione arriva all’improvviso, e il passaggio dalla teoria alla pratica è del tutto fluido e naturale, come se gli artefici della rivolta si lasciassero trascinare da una corrente invisibile, che, se da un lato si può interpretare come una dimostrazione della necessità della rivoluzione, dall’altro è anche una manifestazione della sua cecità ed incoscienza. In effetti, essa manca di visionarietà e di senso del tempo; parte da una denuncia sul presente, ma non tiene conto del passato, ed è proiettata verso un futuro di cui non ha nessuna reale percezione. Non è un caso se le – imprescindibili - problematiche storiche del confronto con la tradizione e del conflitto generazionale rimangono, come voci inascoltate, sullo sfondo. “Ice” di Robert Kramer è un’opera che riesce ad essere ricca e realistica senza essere prolissa, analitica senza essere pesante, variegata nelle tecniche espressive senza, con questo, perdere di unitarietà e coerenza.
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