Regia di Joseph Losey vedi scheda film
Originariamente intitolato The Criminal, il film di Losey è inevitabilmente, per la sua tematica, apparentato a Giungla d'asfalto, per cui negli Stati Uniti e poi in Italia seguì anche nel titolo il capolavoro hustoniano. Laddove la giungla d'asfalto era la tentacolare città americana, intricata di strade, quella di cemento è il carcere, dove vigono leggi che poco o niente hanno a che fare con quelle della civile convivenza. Vi dominano il cinismo, la violenza, la vendetta, il rispetto di gerarchie, pronte ad essere sovvertite per uno sgarro o per una promessa non mantenuta. E i cosiddetti tutori della legge non sono granché migliori dei reclusi, pronti a coprire qualsiasi crimine pur di salvaguardare la propria carriera. Di certi aspetti di questo film sembrerà ricordarsi anche il Kubrick di Arancia meccanica (che da Giungla di cemento pescherà l'attore Patrick Magee, qui nei panni dell'odioso capo dei secondini Barrows), il quale metterà in satira certi aspetti qui mostrati nella loro crudezza.
Dal punto di vista della "giungla", il film di Losey è un apologo sulla reversibilità del male, che si abbatte inesorabilmente su questo piccolo boss di provincia Johnny Bannion, che si perde proprio quando ha trovato una donna non disposta a tradirlo.
Losey gira con uno stile che, traendo qualcosa dalla secchezza americana, ma anche dal cinema europeo (all'epoca in pieno fermento), si dimostra audace, anche nel mostrare qualche fugace nudo, e originale, giovandosi di attori pressoché perfetti, a cominciare dal faccione di mastino proletario di Stanley Baker, uno degli interpreti preferiti del regista americano, e dalla faccia aguzza di Sam Wanamaker, un attore che, come Losey, si era rifugiato in Inghilterra, dopo avere dovuto abbandonare gli USA a causa del maccartismo.
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