Regia di Helmut Käutner vedi scheda film
Gli ultimi giorni di vita di un oppositore del nazismo, che per ventura era generale dell'aviazione militare...
Helmut Käutner è davvero un regista degno di nota, e il suo nome brilla anche perché nel suo paese sfasciato dalla guerra era uno dei pochissimi registi ad essersi imposti come autori. Doveva essere un uomo molto preciso e sicuro di sé, a giudicare dalla cura che si ravvisa nei suoi film. Detto a margine, non era alto di statura, era magrolino, e aveva l'aspetto di un tipetto insignificante. Ciò si può vedere da alcune sue partecipazioni come attore alla serie “Derrick” dei primi anni, della quale diresse un episodio e interpretò, molto bene tra l'altro, il personaggio di uomo fallito e disilluso. Lo stesso aveva fatto nella serie “Der Kommissar”, che fu la “madre” di “Derrick”. Vista la poca notorietà di Käutner nel nostro paese, forse questa premessa era necessaria.
Questo “Il Generale del Diavolo” è certamente un film lontano da quelli partoriti da Hollywood: niente magniloquenza, niente retorica, e per buona parte del film l'impianto è teatrale, come lo è l'origine della pellicola, mentre l'azione negli esterni non è molta. Cionondimeno, la forza drammatica è ben presente, e a poco a poco si compone il ritratto di quest'uomo, all'inizio incerto, che poi assume però contorni sempre più netti. Pur essendo generale dell'aviazione tedesca – siamo nella parte finale della guerra, quando le cose iniziano a mettersi male per la Germania – egli, dentro di sé, non è nazista. Forse lo è stato, ma ora nutre una crescente repulsione verso il regime di Hitler e l'ideologia relativa, che lo portano pure a nascondere in casa propria degli ebrei. Il suo astio per il nazismo cresce, finché esce allo scoperto, pur sicuro di andare incontro in tal modo a morte certa. Soprattutto nella parte finale, vediamo come il protagonista si scontri con i suoi colleghi proprio in materia ideologica: egli ormai ha capito che la Germania è sprofondata nella follia, mentre quelli sono ancora convinti della giustezza di quelle idee e delle future glorie che li attendono.
La pellicola è percorsa da una palpabile tensione narrativa, perché la vicenda è continuamente interrotta e sospinta da telefonate urgenti, ordini e contrordini, convocazioni, arresti, partenze improvvise. Motu in fine velocior: la Germania stava perdendo la guerra e la catena di comando delle forze armate era percorsa da nervosismo e ansia, mentre ancora credevano di poter evitare l'inevitabile.
Ben interpretato dagli attori, e diretto con precisione dal regista (anche coautore della sceneggiatura), è un film che richiede un po' di sforzo per essere seguito, ma che poi avvince e ci fa partecipare emotivamente. Esso ci fa anche vedere come ogni singolo che abbia capito che la massa si sta sbagliando, abbia il dovere morale di opporsi e non collaborare, anche a prezzo di gravi conseguenze.
Sarà un caso, ma i pochi film tedeschi del dopoguerra che si guadagnano qualche spazietto di notte sulla TV italiana sono opere triviali: perché non rispolverare queste, invece?
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