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Z, l'orgia del potere

Regia di Costa-Gavras vedi scheda film

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La recensione su Z, l'orgia del potere

di lamettrie
10 stelle

Un film perfetto. merita la fama straordinaria che ha, anche 51 anni dopo. Da manuale per capire alcuni fenomeni storici di straordinaria rilevanza, mai trattati in modo onesto nemmeno sui libri di storia: i fascismi, in particolare quelli della guerra fredda, quelli tenuti in vita dagli Stati Uniti, che sono proliferati soprattutto in Centro e sud America, ma anche in Africa, Asia, e pure in Europa, come nel caso greco qui descritto, tratto da un romanzo di Vasilikos. La storia è vera, purtroppo: il film rende benissimo l’orrore della realtà di un potere capace di stritolare ogni resistenza residua di giustizia.

Si parte dunque dal caso greco, senza nemmeno citarlo, con gli assassinii che sono seguiti a quello del deputato di sinistra Lambrakis, e all’azione, memorabile per giustizia e onestà, del giudice Sartzetakis, che poi sarà torturato per aver fatto bene il suo dovere di tutore della legge e dei diritti comuni: ma una sapiente aria universale permette di non circoscrivere il riferimento a un episodio preciso. Il massimo del cinema di denuncia: si parte dalla storia per indicare (come suggeriva Aristotele) cose che possono avvenire ovunque e interessare chiunque.

La trasversalità del film è evidente nella connotazione dell’opposizione, baluardo meritevole dei diritti e insieme vittima ingiusta: è quella tipica degli indipendentisti, nazionalisti che hanno lottato contro oppressori che erano armati in modo decisivo dagli Usa. Ma la stessa logica c’era pure in paesi controllati da comunisti; qua non se ne fa menzione perché il regista Costa Gavras è greco, e qui fa riferimento ai fatti della sua terra, allora freschissimi, con il governo dei colonnelli, dal ’67 al ’73; una situazione che era conseguenza di quella in cui i comunisti erano stati messi in minoranza, con mezzi antidemocratici, dagli occupanti angloamericani già alla seconda guerra mondiale, al momento di scacciare i tedeschi. Insomma, non è un caso che lì a difendere maggiormente i diritti erano i comunisti (cosa che non avverrà certo da altre parti anche non distanti da lì, dove i comunisti erano loro stessi i primi ad offendere tali diritti, come nei paesi del Patto di Varsavia).

Nell’incipit, splendida, per la delirante chiarezza, è l’analogia del comunismo, e di ogni opposizione, con metafora naturalistica/medica: una patologia da debellare con ogni mezzo. Già questo nome di “comunisti” è un’accusa (come dice il pur serio giudice, costretto a moderare eccessivamente certi termini e ad enfatizzarne altri, come si fa purtroppo nelle dittature).

Indimenticabili, per realismo, le scene di squadrismo fascista: impunite solo perché organizzate dal governo, che è filo Usa. I fotografi vengono impediti dalla polizia.

«Di che si immischiano i medici? Perché hanno fato l’autopsia? Era tutto chiaro…», è il refrain dei responsabili dell’ordine pubblico, che ovviamente vogliono chiudere in fretta il caso, accreditando l’ipotesi dell’incidente; e che accusano le opposizioni di sfruttare “l’incidente” per fare politica, quando sono stati loro a premeditare, creare e sfruttare un assassinio per motivi politici.

Altro classico: distruggere il mito dell’eroe. Ovvero trovare degli scandali di donne, per screditarlo moralmente: proprio loro, che han fatto di tutto per distruggere realmente ogni serietà morale (il riferimento all’Italia degli ultimi anni è lancinante). Intense le scene delle vedova, quasi muta, una bravissima Irene Papas, in un film in cui tutti recitano bene, dai tantissimi comprimari ai protagonisti, tra cui spicca Trintignant, indimenticabile per la sua serietà, con tutti i rischi che correva così facendo.

Di fronte ai parenti della vittima (uccisa da loro stessi), le istituzioni dicono menzogne di circostanza, e finto cordoglio. In questa retorica falsificante, la stampa appare ampiamente corrotta, e perciò adeguata.

Tra i testimoni, alcuni vengono manganellati; altri parlano di “scivolata” (del gruppo dei venduti esiste già un elenco pronto di 60 a disposizione, in mano alla polizia che li ricatta per far dire loro quello che vuole);  altri muoiono tutti in poche ore, sempre per cause naturali o comunque non imputabili al caso giudiziario in corso, guarda caso.

Al testimone aggredito fanno ricatti: ha parenti che lavorano per lo stato, e lui stesso può chiedere quello che vuole alle alte cariche. La sorella appartiene a un’associazione di estrema destra: è solo per questo che han trovato lavoro lei e suo marito.

Didascalico è poi il ritratto del CROC: combattenti realisti dell’occidente cristiano. Il capo era ufficiale con i tedeschi durante l’occupazione: il classico opportunista anticomunista, pronto a riciclarsi per ogni uso consimile (non è ancora abbastanza nota la predilezione del nazismo e degli Usa, nei paesi successivamente occupati da entrambi, per i medesimi soggetti, accomunati esclusivamente dall’odio verso l’uguaglianza dei diritti).  I pilastri di questa conventicola sono: religione e monarchia. Il nesso tra chiese e gruppi conservatori è un altro classico della storia, anche se spesso tale sodalizio ha portato a dei crimini, come in questo caso, che fanno a pugni con i principi delle religioni in questione. «Ci vuole un paese senza partiti, obbediente  a Dio e al suo destino (quello che Dio ha voluto, ndr)... Giustizia e polizia sono le sole forze che si oppongono alla corruzione di partiti e parlamentarismo (dove si capisce benissimo che il problema non sono i partiti corrotti: ma ad essere corrotto è il pluralismo partitico, con la sua garanzia dei diritti, ndr)». Tutti i poveracci vengono ricattati: se non vanno a quelle riunioni perdono il lavoro. Lì c’è chi vende il sangue, chi ha venduto un occhio. Pochi partecipano per convinzione: quasi tutti per convenienza, dato che altrimenti sono “morti che camminano”.

Al giudice giovane, un capo della sicurezza confida: «Questa inchiesta può portarla molto in alto, come spezzare la sua carriera». Insomma,  deve obbedire al crimine di stato. «Il giudice è il solo padrone, con la sua coscienza»: ma in realtà non ne ha la benché minima libertà. Infatti al sua vita verrà tragicamente rovinata dalla sua scelta per il dovere, almeno inizialmente (poi verrà fatto presidente della repubblica greca, nella realtà: ma dopo la produzione del film e dopo la fine della dittatura).

Grande è il collegamento che si può fare con la storia italiana: specie per i gruppi di destra, assoldati nella strategia della tensione, spesso fra persone assai ignoranti (come il film mostra). Gruppuscoli che, ben coperti dalla nebbia non casuale insufflata dallo stato, han fatto molti più morti del terrorismo rosso; dopo oltre 40 anni a loro riguardo non è stata nemmeno vista riconosciuta la verità giudiziaria, oltre che quella storica definitiva.

E altro male italiano è il servilismo e l’opportunismo, che hanno portato molte persone a fare carriera proprio perché sono venute meno alla propria deontologia: il giudice qui paga di tasca sua per non averlo fatto, mentre parecchi altri (nel film, in Grecia, in Italia, altrove) sono stati premiati per la loro efficace, e anche colta, scorrettezza, nell’obbedienza al potere che ha determinato le sorti della nostra repubblica: il predominio americano con la collaborazione di gran parte dell’imprenditoria, di mafie e Vaticano.

Un film tipico del ’68: allora c’era una libertà tale, dovuta all’impegno medio della coscienza civile molto più elevato di quanto sia oggi, che permetteva di dire tali verità, e di premiare un film così. Oggi gli spazi sono terribilmente ridotti, per via di quella dittatura, morbida, silenziosa e strisciante, del capitalismo, che via via annulla la coscienza e diritti, in cambio di pochissimi soldi in più rispetto a prima (quasi sempre meno di quelli che dovrebbero essere). Il  classico piatto di lenticchie con cui Esaù vendette la primogenitura a Giacobbe: perdi tutto, per guadagnare quasi un nulla.

Rousseau diceva: non vale mai la pena perdere la libertà e l’indipendenza, per avere dei soldi in più. Sarà per questo messaggio, tanto vero quanto scomodo all’elite, che al liceo non lo insegna quasi più nessuno. E i risultati si vedono.

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