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American Dreamz

Regia di Paul Weitz vedi scheda film

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La recensione su American Dreamz

di Andreotti_Ciro
7 stelle

Un presidente USA in balia completa del suo segretario di stato. Un egocentrico presentatore che desidera solamente accrescere la propria fama a scapito di concorrenti pronti a tutto pur di partecipare al suo reality. Un cinismo strisciante che non risparmia nessuno.


Tutto questo è American Dreamz del regista Paul Weitz, il quale pose quale unica condizione per la realizzazione del film la presenza di Hugh Grant nello sgradevole ruolo di Martin Tweed e il tutto a quattro anni di distanza da About a Boy – Un ragazzo (About a Boy; 2002) diretto da Paul e dal fratello Chris, tornato in scena e capace di colpire ancora nel segno. Confezionando una pellicola cinica e intrisa di satira politica e sociale, che non desidera risparmiare veramente nessuno; non le massime autorità politiche USA, ma neppure i temuti terroristi Arabi, trattati alla stregua di un gruppo di appassionati di musical made in Broadway.

 

In tal caso i due fratelli originari di New York si dividono i compiti di produttore e regista, lasciando dietro la macchina da presa il solo Paul, cui va riconosciuto il merito di aver creato una sceneggiatura originale capace di far sorridere lo spettatore grazie a un retrogusto decisamente amaro e dato dalla capacità del regista Newyorchese di fotografare in maniera fin troppo realistica la società occidentale.
La satira graffiante della pellicola non si ferma però al solo mondo dei reality, ma riesce a toccare sia il malcostume, tutto occidentale, di creare personaggi dal nulla. Fornendo alla persona comune, nella maggior parte dei casi priva di talento, quel quarto d’ora di celebrità che Andy Warhol profetizzava già nei ’60. E anche il mondo della politica; tracciando l’identikit di un presidente USA, un Dennis Quaid perfetto nel ruolo di stupido, sempliciotto e disinformato, che proprio come i protagonisti di un reality è guidato mediante auricolare dal suo cinico segretario di stato; un Willem Dafoe, sempre molto abile nel farsi disprezzare con un sorriso amaro dipinto in faccia.


In questo tourbillon di sentimenti negativi e portati all’estremo, ben si adatta la caricatura, nemmeno troppo enfatizzata, di Hugh Grant che quando ha preferito smettere di sembrare il bravo ragazzo della porta accanto è riuscito a essere sia un attore più credibile sia capace di veicolare al meglio il messaggio del film, creando fra lui e Wally ‘Defoe‘ Sutter un parallelo fra due burattinai l’uno di un manipolo di inetti dalle belle speranze e l’altro di un inetto (o ingenuo) a capo della nazione più potente del mondo.

 

Black comedy molto amara e che anche se datata (uscì al cinema nel 2006) riesce a essere ancora oggi un’eccellente satira in merito alla costruzione mediatica di una notizia.

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