Regia di Rolf de Heer, Peter Djigirr vedi scheda film
David Gulpilil è un’icona del cinema australiano. L’attore aborigeno più presente nei film di registi bianchi. Il penultimo (prima dell’atteso The Proposition, scritto da Nick Cave) è stato The Tracker, proprio dell’olandese naturalizzato australiano De Heer; contestabile, ma mai convenzionale. Tralaltro, con lui è nata l’attività produttiva di Fandango agli Antipodi (Bad Boy Bubby, nel ‘93). Il primo è stato il pochissimo visto Walkabout di Nicolas Roeg del ‘71, sul rito di passaggio all’età adulta. Ora David, coautore del progetto con De Heer, passa il testimone al figlio Jamie, anche lui in un ruolo di transizione: quello dell’apprendistato alla caccia, con annessa costruzione di canoe all’uopo, e contemporaneamente di ascoltatore del racconto di una storia del tempo degli Antenati. In gioco, la giustizia della legge tribale, il senso ciclico del tempo, la continguità tra vita e morte, i poteri magici. E una strutturale, impegnativa lentezza, connaturata alle culture orali. Tanta carne al fuoco per un film indefinibile: un documentario “fictionalizzato”, con la voce off sorniona di David, sottotitoli a tradurre la lingua Ganalbingu, girato nella Terra di Arnhem, patria di Gulpilil, con la gente di Ramingining, coautrice dello script a partire da una fotografia degli anni ‘30 dell’antropologo Donald Thompson.
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