Regia di Rolf de Heer, Peter Djigirr vedi scheda film
Vincitore nella sezione “Un Certain Regard” a Cannes, “Ten canoes” mostra ancora una volta il modus eccentrico e anticonformista di un demiurgo come Rolf de Heer. Ambientata nella Terra di Arnhem primordiale, nel periodo di caccia alle uova d’oca, l'opera si serve di una voce fori campo che narra le vicende di una tribù aborigena composta da dieci uomini. Il leader del gruppo, Minygululu, racconta a Dayindi (Jamie Gulpilil) una storia antica su Yeeralparil, un altro adolescente che, come Dayindi, ha desiderato ardentemente una delle compagne del fratello maggiore. Dello stesso clan fa parte il guerriero Ridjimiraril, sospettoso del rapimento della consorte, di cui dovrebbe essere responsabile un estraneo. Dopo una prima offensiva di Ridjimiraril a una fazione rivale di indigeni, reputati colpevoli del sequestro, il collerico combattente sarà costretto a sottoporsi al rito di vendetta che impedisca la conflagrazione a tutto campo; Yeeralparil così decide di seguirlo in un destino presumibilmente fatale, in quanto ritiene che questa occasione sia una preziosa opportunità per esibire coraggio e maturità… I temi relativi alla morte e alla violenza si protraggono in un soggetto apparentemente generico, benché in verità colmo di ramificazioni attinenti all’enigmaticità della stregoneria, alla reincarnazione, alla potenza inquietante della magia nera e all’effetto non sempre efficace di quest’ultima al cospetto delle calamità scatenate dagli "spiriti maligni". Intrecciandosi costantemente su versioni diverse degli stessi fatti, il film di de Heer irretisce lo spettatore sovrapponendo suadentemente passato e presente grazie ad ellissi raffinate ed inebrianti digressioni (occasionalmente pletoriche). A rendere ammaliante lo splendido paesaggio delle paludi perviene l'insolita fotografia di Ian Jones, il quale inverte i più usuali metodi di rappresentazione, utilizzando un singolare bianco e nero per gli avvenimenti più recenti. La vita inizia e si conclude in una simbolica “pozza d'acqua”, dove gli individui sono esseri crepuscolari che chiedono di venire al mondo, e in cui alla fine vi ritornano, solo per ripetere il ciclo. Il messaggio si può decifrare così: piuttosto che precipitarsi in decisioni drastiche che disturbino l’equilibrio dell’esistenza, bisogna essere pazienti, affinché si segua un “cerchio completo". Un montaggio avvenente, eccellentemente assemblato grazie ad un eloquente poeticismo visivo concentrato su background tellurici, ci espone il suddetto aforisma nel momento del trapasso di uno dei componenti della comunità di Yeeralparil. “10 Canoe” in ogni caso ci trascina altresì per mezzo dello scafato umorismo sciorinato dalla convincente autenticità delle prove attoriali non professionali, dei toccanti attimi di sospensione, della perizia nella direzione del registro tragico (il quale sfrutta perfettamente variazioni di luce e di rumori circostanti alla piazzata scenica), e degli evidenti punti di connessione delle credenze di una cultura atavica (non priva di sottigliezze antropologiche e una certa complessità) con la suggestione insita nelle religioni contemporanee. Un ultimo appunto: a differenza di quello che dicono in molti, “10 Canoe” non è un documentario!
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