Regia di Carlo Virzì vedi scheda film
“Ciao Argentario, ciao mulino spagnolo, ciao…”: già la prima sequenza del film, funge da preparazione per lo spettatore, perché prenda consapevolezza ulteriore della sua scelta. Infatti, non ci vuole molto a capire che il primo film del fratello di Paolo, Carlo Virzì, altro non è che un’ennesima storia da notte prima degli esami. Se dovessimo cercare un genere, conieremmo appositamente il termine “estivo-adolescendemenziale”.
Tratto dal libro di Teresa Ciabatti (“Anselmo, torna da me”), il film ha già nella scelta del furbissimo titolo l’istigazione a portare al botteghino gli adolescenti cresciuti ed educati dalla “maestra” Maria De Filippi, o gli adulti cresciuti con “Il tempo delle mele”. Infatti, anche questo film di Virzì, come Notte prima degli esami, è targato anni Ottanta.
Tutto ruota intorno alle tristissime giornate trascorse dalla tredicenne Camilla Randone, adolescente che abita al Parioli, in villeggiatura con la madre ad Orbetello, in una villa di famiglia che solo ad Arcore ce n’è simili, decisa ad assaporare finalmente il gusto del primo bacio. Quello dell'estate 1987, che aveva come tormentone radiofonico “Amore disperato” di Nada.
Fin qui nulla di più scontato. Invece, quel che più appare racappricciante del film di Virzì è la sua pretesa nel voler sottolineare quelle differenze importanti fra “biancaneve” e il suo “principe azzurro”: trattasi, appunto, di Camilla e di un ragazzo addetto alle pulizie nella mega villa. Si ha l’impressione che il punto di vista sia lo stesso di quanti, dinanzi alla presenza di chi è non è proprio pari, avvertano come un “peccato” colui/colei per il quale bisogna “impegnarsi per far qualcosa”.
Ma perché la banalità la fa da padrona nel cinema nostrano, specie quello destinato ai più giovani? E’ chiaro che, poi, dinanzi a tali film (?), quelli di Muccino Senior risultano dei capolavori. Ma non così avviene in altri Paesi. Basti dare un’occhiata a film, sugli adolescenti, inglesi, francesi, non ne parliamo di quelli iraniani, del Sud America o dell’Estremo Oriente: in essi si scopre una vera e propria “geografia umana”, con tutta una serie di problematiche esistenziali che gli adolescenti di questi paesi vivono allo stesso modo degli adolescenti italiani, seppure sempre e solo rappresentati come o grandi “segaioli” o come figli disinibiti e privi di qualsiasi valore (si guardino almeno questi titoli: Krampack, My summer of love, Il giardino delle vergini suicide, L’Enfant, ecc.).
Si, è vero, di questi figli le nostre case italiane son piene, ma, per fortuna c’è chi non abita al Parioli ed ogni giorno deve tirare la cinghia per campare. Qualcuno dei registi italiani (esclusi i fratelli Frazzi) ha mai sentito parlare dei “minori a rischio”, dei “drop-out” e di tutti quegli adolescenti che non sapranno mai cosa significhi trascorrere l’estate in vacanza con mamma e papà (ammesso che questi vivessero con loro, visto che quasi sempre si tratta di figli o naturali o di padri e madri ergastolani, alcolizzati o tossici)?
Per ciò il film di Carlo Virzì è un film inutile che racconta una realtà nella quale il ceto medio non si riconosce. Siamo stanchi di un immaginario anni ’80 abitato dai “Cioè”, “Duran Duran”, telenovele, ecc. Cerchiamo di arrivare almeno alla fine di quello stesso decennio: è mai possibile che siano caduti muri talmente solidi e stabili e non cadano i muri che ci farebbero vedere ben oltre quella siepe che ormai ha annebbiato il nostro sguardo con film squallidi e noiosi, con tanto di “addii” anche alla fine. Se è vero che qualcuno sta decretando la morte del cinema, solo in questi casi saremmo per la pena di morte per ormai tante inutili pellicole.
Giancarlo Visitilli
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