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Radio America

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Radio America

di obyone
8 stelle

 

 

St. Paul. Minnesota. Una piccola folla si accalca nella hall sotto gli occhi vigili del responsabile della sicurezza Guy Noir (Kevin Kline), un ex investigatore privato, uscito dagli schermi di un poliziesco anni 50, che ha fatto del teatro la sua attività, a suo dire, per mancanza di tradimenti, corna e omicidi. Non è poi malaccio il colpo d'occhio sulla fila in attesa. La sala non è piena ma neanche così vuota da allertare il becchino e chiedere al prete l'estremo rimedio dell'unzione agli infermi. Malgrado ciò siamo al canto del cigno per il popolare programma "A Prairie Home Companion". Dietro le quinte si rincorrono, imbizzarrite, le voci relative alla vendita di teatro e stazione radio ad una compagnia texana che ha ben altri progetti per quel luogo. In attesa dell'ufficialità, nei camerini, le sorelle Johnson (Maryl Streep e Lily Tomlin) si preparano per l'ultimo spettacolo e tramandano ricordi musicali d'infanzia alla giovane Lola (Lindsay Lohan) non senza una vena di drammatica malinconia. Poco più in là Lefty (John C. Reilly) e Dusty (Woody Harrelson) si lasciano andare alle chiacchere con il presentatore GK (Garrison Keillor) in attesa che arrivi il momento di strimpellare una chitarra da mandriano e raccontare le più oscene barzellette. Mentre Noir attende l'arrivo dei vertici texani e lo staff si prodiga per mandare avanti la baracca, il brontolio si fa incessante nella pancia di un teatro che per trent'anni è resistito alle bizze dei cambiamenti fornendo agli appassionati uno show di canzonette country, storielle malinconiche, osanna al Signore e scialbe pubblicità, sempre fedeli alla tradizione. Il tempo si è fermato al Fitzgerald Theater. Lo spirito dei '70 aleggia palpabile tra i salottini di prova e le assi del palco che ospita l'orchestrina. Se quel malandrino di Dusty non avesse citato le pillole blu, nell'esilarante sproloquio con l'amico Lefty, avremmo potuto accettare per buona l'ambientazione nella decade più rappresentativa della New Hollywood e del cinema controcorrente di Robert Altman che, proprio in quell'epoca, scriveva e dirigeva il testamento artistico della musica country nel capolavoro "Nashville". Radio America è un ritorno alle origini, uno sguardo rivolto al passato. Nulla di ciò ch vediamo sembra condividere qualcosa col presente: i costumi di scena, la musica a sfondo religioso, la tavola calda luccicante e dal design retrò, i gusti musicali d'antan. Eppure, nonostante il format preistorico, il pubblico apprezza l'immota e imperitura ripetitività della scaletta e il tono monotono del cantante/presentatore. Una misteriosa ed eterea bionda, infine, si aggira per il teatro ricordando un viaggio senza ritorno in automobile. La sua presenza aleggia tra le persone, misteriosa quanto l'impermeabile bianco e fuori moda che stringe sui fianchi una silhouette ricamata da angelici boccoli biondi.

 

 

Questo Robert Altman, al commiato, mi stupisce. È un dio misericordioso il regista del Missouri. Con consueta disinvoltura muove i fili di marionette senza tempo tra rimpianti e laceranti dubbi sul futuro. Ma, con mia sorpresa, lo vedo ridurre la distanza che lo mantiene al sicuro dai fallimenti delle proprie creature di celluloide. Con inusitate inquadrature a mezzo busto, ciò che è più simile, secondo logica altmaniana, ad un primo piano, la macchina scruta l'intimità dei protagonisti condividendo sentimenti, paure, piccole gioie. Il regista è meno distante, più empatico. Si direbbe che provi affetto e premura per quel palco e quelle voci che disperdono armonia e bellezza. I suoi personaggi stavolta gli assomigliano. Il mondo è cambiato da quella immensa grande stagione cinematografica che furono gli anni '70 ma Altman è rimasto nel suo rassicurante teatrino. Ha portato avanti il suo cinema forse "datato" agli occhi dei più giovani senza mai rinunciare alle proprie idee, come il vecchio Chuck non ha smesso di cantare e fare l'amore con l'arzilla responsabile dei pasti anche se l'eta giovine se n'era andata da un pezzo. Ma, inevitabile ed inesorabile, è arrivato il momento di chiudere. La morte ha richiamato nei ranghi il vecchio cantante ed il vecchio maestro. Con queste premesse la satira risulta più morbida. La malinconia, invece, accentuata. Non poteva essere altrimenti. Il tessuto dell'opera trasuda una laica speranza di Dio, di immortalità ultraterrena. Yolanda Johnson invita la figlia a cogliere il meglio dalla vita che in fondo è questo il paradiso ed meglio approfittare di ciò che si vede e si tocca. L'autore dell'America laica mi stupisce ancora una volta e veste Virginia Madsen con le ali dell'angelo annunciatore, confortatore, vendicatore. La donna passa e prende con sé. Riscuote il proprio tributo in teatro e fuori. Conforta gli afflitti e vendica una stagione di idee dilaniata dalle cellule tumorali dell'arrivismo economico e del consumismo fagocitatore dei valori morali tramandati dalla fiera stagione dei cambiamenti disattesi. Altman manda il suo angelo in terra lasciando cadere briciole di ottimismo ad ogni battito d'ali, benché il suo mondo sia destinato a cedere sotto i colpi potenti di una palla demolitrice che rappresenta nuove insidie, nuovi imprenditori e politici potenti e rampanti, forse peggiori.

L'angelo di Altman non è solo uno strumento di pietà e vendetta. L'angelo dalla chioma dorata non se ne vuole più andare. Forse la creatura alata è scossa dal fremito malinconico di una vita terrena perduta o, forse, è pervasa dal rimpianto di una condizione umana già provata. Dopo tutto gli uomini e le donne possono emozionarsi, raccontare il dolore, ridere di una battuta. Le emozioni non possono essere demolite da un caterpillar. Tergiversa l'angelo dietro le vetrine della tavola calda. All'interno gli artisti discutono e ridono di un possibile ritorno, un'ultima rentrée dal sapore celebrativo. L'angelo varca la soglia e giunge al tavolo chiassoso. Cala un preoccupato silenzio. Si abbatterà la falce della morte? O piú semplicemente alla musica e alla sua melodia non può resistere nemmeno una creatura divina rinchiusa in un impermeabile vecchio ricordo di umana bellezza? Il dolce suono di un nuovo spettacolo sta per iniziare. La vita va avanti dopo tutto. La musica ne canta la magnificenza e nessuno può resisterne.

 

"Se la mente rimane ancorata alle mani

se l'eterno è l'assenza di tempo

l'angelo e l'uomo avranno ancora un motivo di invidia" (Madreblu, "Gli angeli")

 

Infinity

 

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