Regia di Davide Sordella vedi scheda film
«Se ci fosse un po' di silenzio, se tutti noi facessimo un po' di silenzio, allora finalmente, forse, qualcosa potremo capire». Per raggiungerlo, questo silenzio, Davide Sordella si rintana in una cantina, dove due fratelli e una sorella si ritrovano il giorno di Natale. La dolce data dovrebbe aiutare i ricordi e invece fa riaffiorare gli incubi: quelli familiari e quelli più reconditi. L'impolverato scatolone delle rimozioni viene dunque riaperto e il sottoscala si tramuta presto in una funzionale metafora dell'anima, dell'interno di un esterno che non può più mentire. Il regista ha studiato con Mike Leigh e si sente: le sue sono urgenze che scarnificano i corpi nella disperata ricerca di toccare il fondo, il punto di partenza, il traguardo temuto. Intitolato originariamente La radio (il vecchio mezzo di comunicazione ha un ruolo significativo) e montato diversamente, nella nuova versione vince l?ardua sfida di non uscire mai alla luce del sole, di camminare in traiettorie anguste senza possibilità di appoggiarsi, se non fugacemente, in flash-back che non pregiudicano l'inevitabile outing di colui che, alla fine, scopriamo, colpevole. In un'opera che riesce a non essere fissamente teatrale pur vincolata dallo spazio, spadroneggiano gli attori. La fulgida Barbora Bobulova vince di misura su un concentrato e afflitto Fabrizio Gifuni. Mentre Fabrizio Rongione non è forse all'altezza della situazione. Il tormentone si chiama Sway, cantata e ballata in una malinconica sequenza che è, al tempo stesso, passato presente e futuro di un inconscio che trionfa, senza più appelli, sulla razionalità.
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