Regia di Hugh Hudson vedi scheda film
Con un cospicuo budget e collaboratori di prima classe a sua disposizione, Hugh Hudson dirige questa riuscita versione del classico di Edgar Rice Burroughs. Ad oggi, la migliore.
"Metà di me è il visconte di Greystoke. L'altra metà è selvaggia." (John Clayton/Tarzan)
Nel 1983 Hugh Hudson, fresco dell'Oscar al miglior film nel 1982 per il suo "Momenti di gloria", grazie alla fama acquisita riuscì a procurarsi un cospicuo budget per riportare sul grande schermo il classico di Edgar Rice Burroughs, "Tarzan delle scimmie", questa volta con l'intento dichiarato mediante la sceneggiatura di Robert Towne (che in un primo momento avrebbe dovuto dirigere il film) e Michael Austin di tornare alle origini del personaggio rimanendo fedele alla fonte letteraria, nonostante il film se ne discosti nella seconda parte. Questa intenzione si evince dal taglio più autoriale e dal respiro europeo imposto dal regista, il quale gira un film drammatico d'avventura e sentimentale lontanissimo dai canoni hollywoodiani (e infatti, nonostante avesse recuperato il budget stanziato, fu ritenuto un fiasco al botteghino) avvalendosi di eccellenti collaboratori quali il make-up artist Rick Baker per la parte ambientata nella foresta, il compositore John Scott (che compone una partitura sinfonica trascinante e avvincente) e il direttore della fotografia John Alcott (collaboratore di Stanley Kubrick sui set di "Arancia Meccanica", "Shining", "2001: Odissea nello Spazio", "Barry Lyndon"), imponendo inoltre un ritmo dilatato e meditativo. Girato nel Parco Nazionale di Korup in Cameroon e in Scozia, utilizzando ben tre residenze differenti per le scene girate nella dimora del conte di Greystoke, Hudson allestisce una componente visiva d'impatto, con ampissimi campi lunghi e ricostruzioni d'epoca minuziose, e dosa bene le varie componenti del suo lungometraggio che appare bilanciato in ogni sua parte. Tema centrale è lo scontro del mondo selvaggio con quello degli uomini civilizzati, un binomio presente nella figura stessa di Tarzan, scissa fra i due universi a cui appartiene contemporaneamente: ad uscirne in maniera negativa è necessariamente il secondo, dipinto come crudele e paradossalmente più bestiale e animalesco del primo; l'arroganza dell'uomo moderno e la sua pretesa di sapere e potere lo porta a maltrattare gli altri esseri viventi, a sovvertire l'ordine naturale del creato e a difendere strenuamente le convenzioni sociali prestabilite in nome del progresso e della sua presunta e imposta superiorità. Alla fine, il rifiuto di una società spietatamente amorale e il ritorno allo stato naturale non possono che prevalere nell'animo ferito del signore delle scimmie.
Questa è dunque di diritto l'opera cinematografica più bella, appassionante e significativa mai girata su Tarzan (nome che peraltro non viene mai pronunciato nel corso del film), grazie anche a un cast di eccellenti attori che forniscono tutti prove esemplari, a partire (e questa è una vera sorpresa) da Christopher Lambert in quello che probabilmente è il ruolo (insieme a quello di Connor MacLeod in "Highlander") migliore della sua carriera, passando per i grandissimi caratteristi Ian Holm (al solito bravissimo), Ralph Richardson (a cui il film è dedicato e che ha ricevuto una strameritata nomination all'oscar per il miglior attore non protagonista), James Fox e per l'allora esordiente e bellissima Andie MacDowell (curiosamente doppiata nella versione originale da Glenn Close in quanto i produttori ritennero troppo marcato il suo accento del Sud degli Stati Uniti), oltre che alla solida regia di Hugh Hudson.
Consigliato.
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