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Mondo virtuale

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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La recensione su Mondo virtuale

di AtTheActionPark
7 stelle

Due sono i film che hanno reso celebre la figura di Atom Egoyan, appartato regista canadese di origine armena: Exotica, con il quale si aggiudicò nel '94 il premio della Critica al Festival di Cannes, e Il dolce domani, vincitore tre anni dopo, sempre a Cannes, del premio della Giuria. Due novetoli opere, contraddistinte dall'interesse nei confronti dell'universo famigliare e - soprattutto per quanto riguarda il primo titolo - da una riformulazione del mezzo cinematografico in chiave metalinguistica . Presenze ossessive, quelle appunto del video e del cinema, che innescano sovente, nei suoi film, un brusco cortocircuito tra realtà e virtualità, avvicinando idealmente il cinema di Egoyan a quello del suo onorevole collega canadese, David Cronenberg: un cineasta col quale Egoyan ha, di certo, più di un punto in comune.

"Cronenberghiano" potrebbe infatti essere l'aggettivo più adatto per inquadrare un prodotto bizzarro e sperimentale (e ancora leggermente irrisolto) quale è Mondo virtuale. Il film, del 1989, è una tetra e inquietante discesa negli abissi della memoria attraverso un universo di specchi, di doppi, di infinite rifrazioni di sé e dell'altro. Due donne, una sceneggiatrice e un'addetta alle pulizie di un hotel, sono entrambe innamorate di uno gigolò che fa la comparsa occasionale nei film. Quest'ultimo assomiglia in maniera impressionante al fratello morto della sceneggiatrice, la quale rivede costantemente in una ripresa video che diventa, poco alla volta, il leitmotiv del film.

 

I protagonisti di Mondo virtuale si muovono come fantasmi negli spazi rarefatti del film. Forse non è un caso, allora, che il film cominci con delle riprese in un cimitero: il film di Egoyan testimonia idealmente la morte del «reale» a favore del suo doppio, o, per dirla con Baudrillard, del suo simulacro. I rapporti (anche sessuali) tra donne e uomini sono ormai filtrati attraverso un'immagine che si fa distanza incolmabile. La parola - non a caso completamente assente nei primi minuti del film - diviene un mezzo irrilevante per esprimersi (quelle «speaking parts» il cui titolo originale allude).  Piuttosto - come accade in Sesso, bugie e videotape, anch'esso del 1989 -, è il video a farsi il solo garante della verità, e del ricordo. Vero o falso che sia, forse, non è più così importante. 

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