Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Tre vicende intrecciate ma ambientate in Marocco, Tunisia, Messico e Giappone. Tutto ha inizio quando la tragedia colpisce una coppia in vacanza...
Film del 2006 sceneggiato da Guillermo Arriaga su soggetto dello stesso Arriga e Iñárritu, chiude la “Triologia sulla morte” che comprende i precedenti lavori 21 Grammi e Amores Perros.
Come per i due precedenti,anche in questo film il fulcro delle vicenda è il dolore, portato dalla morte ma anche da diversi elementi,per questo personalmente troveri più adatta definirla “triologia del dolore”. Oltre a questa "tematica fulcro" un altro elemento comune della trilogia è la struttura narrativa, che vive di analessi e prolessi, in questo caso una dislocazione temporale delle storie dei singoli protagonisti all’interno della consecuzione lineare della vicenda principale che coinvolge i vari personaggi
E come per i precedenti film, il dolore, la sofferenza, nascono da dei "preconcetti" o meglio dalle conseguenze di questi: in Amores Perros era l’amore, la famiglia e il dualismo cane-uomo. In 21 grammi la religiosità, il senso di colpa, la vendetta. In Babel è l’incomunicabilità, il pregiudizio ed anche l’incoscienza.
Nella vicenda in Marocco il pregiudizio distorce e spaventa ed è l’incoscienza a far scaturire la tragedia.
In Messico è ancora l’incoscienza che dà inizio a tutto, e abbiamo una incomunicabilità data non dalla differenza linguistica ma dal pregiudizio che ottunde la mente e rende il tentativo di dialogo vacuo.
Perché anche nella vicenda in Giappone dove sì, la difficoltà della comunicazione è data da un fattore fisico, è resa ancor più ardua dal pregiudizio sociale ad essa legata.
Nel complesso Arriaga e Iñárritu cercano di dirci che per superare le barriere della comunicazione c’è bisogno innanzitutto di abbattere tutti i pregiudizi legate alle differenze etniche, culturali e sociali.
All’interno di queste vicende troviamo personaggi caratterizzati splendidamente e intrepretati perfettamente dagli attori: dalla sempre bravissimi Cate Blanchett, passando a Adriana Barraza in uno dei suoi ruoli più sentiti, fino ad arrivare all’intensa prova di Rinko Kikuchi. Ma anche Pitt, Bernal, e tutti gli altri in bolla.Questo grazie, oltre al talento attoriale, dall'ottima capacità del regista nel dirigere il cast.
La regia di Iñárritu è molto tecnica ma pressoché assente da virtuosismi: scandaglia tutti i piani, attento sia al posizionamento della MdP che al movimento che è sempre finalizzato ad uno scopo (la carrellata all’indietro finale è perfetta, evocativa come poche altre nella storia a mio avviso). Una regia che vive in simbiosi al montaggio alternato, altro elemento peculiare del film.
Le musiche di Santaolalla, originali ed evocative dei vari “mondi” narrati,con il tema sul finale che è da antologia per bellezza compositiva e che completa la sequenza finale nella quale si respira altissimo cinema per forza espositiva.
Un film dal ritmo medio ma pungente, coinvolgente, che traspira umanità contro tutte le barriere del pregiudizio.
Voto:9(v.o.s)
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