Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Come già sperimentato e piuttosto ben riuscito con 21 Grammi, Guillermo Arriaga (sceneggiatore la cui fama quasi lo precede) imbastisce per il più intimista (nel senso più intenso della parola) dei registi, l’incrocio di quattro realtà estremamente diverse, stranamente e non senza poco fascino, unite da un filo di destino invisibile, nonostante la caratteristica comune a tutti i film del regista messicano (peculiarità che adoro) di prolungarsi in tempi sequenziali lunghi. Il cast di prim’ordine (è straordinario come un regista “senza esperienza” possa richiamare stelle illustri del panorama cinematografico mondiale), come già successo con i film precedenti e come succederà in quelli successivi, passa in secondo piano ma questo indica che la storia funziona, dopotutto un attore dovrebbe limitarsi ad essere solo interprete lasciando come protagonista la trama e, nei film di Iñárritu, ciò magicamente avviene. Qui la qualità filmica supera la pellicola precedente, che resta comunque la più intima, grazie a ritmi più serrati con ridotti spazi vuoti di dialoghi, sarà per questo che non sono riuscita ad apprezzarla fino in fondo. Resta lo stile di Alejandro nella fotografia e nelle inquadrature inimitabili tanto da essere riuscito ad aggiudicarsi la miglior regia a Cannes 2006.
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